
Nel proporsi quale vero interprete della filosofia hegeliana, Sebastiano Maturi (Amorosi, 16.01.1843 – Napoli, 05.02.1917)[1] è considerato, a buona ragione, il più autorevole tra i filosofi napoletani del suo tempo.
Discepolo della Ragione dalla parola incisiva di Bertrando Spaventa [e] dalla parola sempre immaginosa, ma sempre fissa nell’idea A. Vera[2], il Maturi fu apprezzato quale ‘profondo conoscitore di Hegel’[3], e maestro di molte generazioni di giovani meridionali[4]. Lontano da ogni tipo di provincialismo od assolutismo tout court, egli, «aveva natura di Sileno. Ma né sciatto né rozzo, era invece d’una eleganza che, pur di gusto impeccabile, era un’eleganza singolare.[…] Non smise mai le falde: (ovvero l’abito elegante o soprabito) con l’adozione a malincuore del tubino.[…] Ora, immaginate l’entrata d’un essere di così solenne gravità in un’aula dove trenta o quaranta adolescenti intelligentissimi, precocissimi, osservatori implacabili, occhi di rara freschezza, attendono […] come dei poveri diavoli che salgono la venerabile erma arce (ovvero rocca) della cattedra».[5]
Il Maturi visse in modo semplice, tra la sua gente, povera che fosse e per lo più senza educazione scolastica. Più spesso, si recava presso le rive dei fiumi Calore e Volturno e, con i piedi immersi nelle acque, rimaneva a lungo a meditare, a scrutare la natura che lo circondava. In tal luogo, detto anche ‘piccolo Mare’ ove le donne erano solite recarsi a lavare i panni, egli -tirati i pantaloni al ginocchio e levate le scarpe – si regalava attimi di refrigerio festivo, per fare due chiacchiere e stare lontano dalle mura del paese, ove l’acqua corrente fu sempre un bene prezioso (e veniva per lo più usata per dar da bere al bestiame). Per farla breve, se nel Maturi melanconia vi fu, essa trova risposta nel fatto che «l’anima [del filosofo] fu contenta ‘alle sole soddisfazioni che procura la conquista e la partecipazione del vero, […], sorda agli stimoli delle più legittime ambizioni di studioso’.
Nell’ideale del pensiero umano, ossia la esistenza assoluta di Dio (1881), il suo spirito da credente, “idillicamente innamorato del divino” seppe restare “sempre fanciullo, scevro d’ogni malizia, tutto assorto nella gioia e nel fervore della vita e del pensiero”. Egli attuò e compì in se stesso “il filosofico distacco dai sensi”, morendo alla massima parte di quegli interessi empirici che agitano gli uomini»,[6] poiché se in Hegel persiste il disprezzo per il mondo, esso va inteso come scoria vile o mallo, da cui sgusciare la noce prima, il nocciolo, poi.

Amante della verità[7] e della ricerca di Essa, Egli fu didatta di coloro che, come Augusto Guzzo[8] o Giuseppe Rensi[9], lo additarono a vero interlocutore dell’hegelismo napoletano.
Per tale motivo, Egli «non volle mai coltivare ex professo la storia della filosofia, e resistette sempre a chi – come il Cocchia – tentò di spingerlo su questa via».[10] In tal senso, va letta la sua posizione di isolamento nel clima della rinascita neoidealista del Novecento: un modo per tenersi lontano dal clima di revisionismo inaugurato dai discepoli Giovanni Gentile e Benedetto Croce.[11]
I carteggi e i ricordi del Gentile e di Croce, se da una parte esprimono lode e ammirazione per ‘il puro filosofo e credente’, colui che «tutto assorto nel problema del pensiero e dell’essere, nel problema di Dio, [poco si cura] delle scienze empiriche»[12], dall’altra confermano una sorta di trahison des clercs dei discepoli[13], scottante quanto quella dei suoi contemporanei. Più spesso i veri maestri – quelli a cui si attinge e ci si istruisce – vengono ricacciati nell’ombra, sino ad ignorarne il peso e la valenza teorica che gli spetterebbe.Inutile tacere la singolarità o la pignoleria propria delle opere del Maturi quali L’idea di Hegel (1891) e La filosofia e la metafisica (1894). Ma esse vanno prese tal quali sono, nel proprio archetipo collettivo[14] e nella totalità dei «segni di una mai smessa preoccupazione [da parte del filosofo] di chiarire il suo pensiero, oltre che della ferma volontà di difendere il diritto di una tradizione, che era il diritto stesso della filosofia dinanzi alle contaminazioni dei metodi delle scienze naturali, alla preclusione antimetafisica del neokantismo e alle tentazioni sempre più estese del filologismo nel campo della storiografia filosofica».[15]
In tal senso, con Introduzione alla filosofia (1913) lo Spirito fa del mondo esterno il sostegno e l’espansione di se stesso e – sebbene vive nel dissenso tra la natura e l’uomo stesso – esso chiama ad elevarsi alla contemplazione del bello.
Se si rende necessario trovare il giusto riposo nella filosofia – che libera l’uomo verso l’autocoscienza della verità universale impregnata dalle umane rappresentazioni; se bisogna prendere consapevolezza di tutte le determinazioni che produce la coscienza, allora si lascerà che tale impegno sia da fondamento alla costruzione della metafisica, che attraverso la ragione, sarà in grado di determinare il principio del tutto. In tal senso, la storia ha riconosciuto, al Maturi, la fedeltà di pensiero propria dell’hegelismo.
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NOTE:
[1] Di Francesco e Anna Calenda, il filosofo conseguì la laurea in giurisprudenza, […] il 22 dicembre 1866; nel 1869, non volendo dedicarsi alla professione di avvocato, concorse per la Magistratura e [2° su 120] ebbe la nomina di uditore giudiziario; ma preferì chiedere un’aspettativa, per non abbandonare Napoli e i suoi studi preferiti. Nello stesso 1869 usciva la prima pubblicazione filosofica del Maturi, [Soluzione del problema fondamentale della filosofia], che gli ottenne l’abilitazione ad insegnare filosofia nei licei. Nel febbraio del 1871 passò quindi per varie sedi: [Trapani], Chieti, Messina, Avellino [che raggiunse nel 1876 e dove venne accusato da mano anonima di insegnare una malsana filosofia]. Nel 1891, a Napoli, [su proposta di C. Cantoni], conseguì la libera docenza in filosofia hegeliana […] ed esercitò per qualche anno il suo apostolato di pensiero […]; rifiutata [la cattedra di pedagogia] a Bologna […] nell’ottobre 1875 [sposò in seconde nozze, Ernesta Sali, ispettrice scolastica – la prima moglie era deceduta a tre mesi dal matrimonio] e continuò il suo insegnamento liceale [presso il Liceo Umberto I di Napoli] fino al 1911 vive[ndo] poi, nella solitudine e nella meditazione, il resto dei suoi anni, finché finì, nel 1917, schiacciato da un tranvai (cf. M. Dal Pra, Il pensiero di Sebastiano Maturi, Fratelli Bocca Editori, Milano,1943, p. IV; cf. A. Guzzo – A. Plebe, Gli hegeliani d’Italia. Vera – Spaventa – Jaja – Maturi – Gentile, ed. Società Editrice Internazionale, Torino,1953, pp. XIII-IV; cf. A. Guzzo, Prefazione, in Pietro F. Quarta, Un terzo filone dell’Idealismo italiano: Da Sebastiano Maturi a Augusto Guzzo, ed. Milella, Lecce,1976, pp. 11-3; va citata una biografia pubblicata da P. Maturi, ovvero Id., Gli uomini illustri di Amorosi: il filosofo Sebastiano Maturi, in ASMV – Annuario dell’Associazione del Medio Volturno, Piedimonte Matese, CE, anno 2008).
[2] Cf. S. Maturi, L’idea di Hegel, ed. Morano, Napoli,1891, pag. 1; cf. A. Guzzo – A. Plebe, Gli hegeliani d’Italia. Vera – Spaventa – Jaja – Maturi – Gentile, op. cit., p. 101.
[3] Cf. A. Vigorelli, Lettere a Giuseppe Rensi (1898-1939), in Ronchetti L. – Vigorelli A., Fondo Giuseppe Rensi, ed. Cisalpino [per conto di Università degli Studi di Milano – Facoltà di Lettere e Filosofia], Milano, 1996, pp. 218-9.
[4] Cf. S. Maturi, Introduzione alla filosofia, ed. Laterza, Bari, 1913, p. V.
[5] Cf. S. Maturi, Bruno ed Hegel [a cura di A. Guzzo], ed. Vallecchi, Firenze,1926, pag. IX).
[6] Cf. M. Dal Pra, Il pensiero di Sebastiano Maturi, op. cit., p. V.
[7] Cf. A. Guzzo, Cinquant’anni d’esperienza idealistica in Italia, ed. Cedam, Padova, 1964, pp. 83ss.
[8] Cf. A. Guzzo, Sebastiano Maturi due anni dopo la sua morte in S. Maturi, Bruno ed Hegel, op. cit., pag. XLV; cf. A. Guzzo, Prefazione, in Pietro F. Quarta, Un terzo filone dell’Idealismo italiano: Da Sebastiano Maturi a Augusto Guzzo, op. cit., pag. 11.
[9] Il Rensi stesso avrà modo di consigliarsi con il Maturi – in un suo provvisorio approdo idealistico dal tono europeo – sui temi della natura, dell’esperienza religiosa e mistica, «che la fresca speculazione maturiana aveva saputo tenere al centro del proprio interesse» (cf. M. Dal Pra, Il pensiero di Sebastiano Maturi, op. cit., pp.VI – VII). Il carteggio tra i due (già in Cf. U. Segre, Il pensiero e la natura. Lettere inedite di Sebastiano Maturi, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, Napoli, 1927 vol. VIII pp. 305 – 314), è reperibile in una nuova accurata trascrizione e pubblicazione integrale nel già citato fondo Rensi.
[10] Cf. A. Guzzo, Sebastiano Maturi due anni dopo la sua morte in S. Maturi, Bruno ed Hegel, op. cit., pag. XIV.
[11] Cf. A. Guzzo, Prefazione, in Pietro F. Quarta, Un terzo filone dell’Idealismo italiano: Da Sebastiano Maturi a Augusto Guzzo, op. cit., pag. 12; vedi cf. Gentile Giovanni – Maturi Sebastiano Carteggio (1899 – 1917)[a cura di A. Schinaia], in Gentile Giovanni, Epistolario, Firenze, ed. Le Lettere, 1987, vol. X, pp.VIII-IX). Interessante – per tracciare una prima biografia giovanile di Croce e Gentile – il capitolo sulla ‘rinascita dell’idealismo’, in cf. Sergio Romano, Giovanni Gentile, la filosofia al potere, ed. Bompiani, Milano,1984 pp. 79-86.
[12] Cf. B. Croce, Notizie e Osservazioni, “La Critica”, Napoli, 1934, n. 32, p. 318.
[13] Nello stesso articolo, il Croce non manca di riportare aneddoti divertenti su un Maturi ormai avanti negli anni, e su quei vecchi filosofi «dai quali s’imparava quel che si poteva in fatto di filosofia, dai quali ci si distaccava […] nel modo d’intendere il rapporto tra la filosofia e l’effettivo e concreto e pieno conoscere, ma che rimangono […] nel loro puro amore del vero, esemplari» (cf. B. Croce, Notizie e Osservazioni, op. cit., p. 318) e i veri «padri misconosciuti dell’idealismo».
[14] Cf. C. G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo [Opere vol. IX], ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 48.
[15] Cf. B. Croce – S. Maturi, Carteggio (1898 – 1915), [a cura di F. Rizzo], Soveria Mannelli (CZ), ed. Rubettino, 1999, pp. 9-10.13.