Del titolo onorifico di città, in Italia, si possono fregiare quei comuni che, in virtù della loro importanza storica, artistica, civica o demografica, ne siano stati insigniti con decreto del re prima, del presidente della Repubblica poi. Altre città si fregiano del titolo per antichissima ed ininterrotta consuetudine. È il caso di Cerreto, la città Vecchia che finalmente è “timidamente” emersa dal terreno che la aveva preservata, ma non troppo, da razzie e devastazioni.
Poi vennero i Normanni.
Il borgo, che già raccoglieva cittadini scampati sia alle devastazioni saracene (846-847 d.C.), sia al catastrofico terremoto dell’848, fu fortificato dai Normanni1 I Normanni erano gente di stirpe germanica, coraggiosi guerrieri ed intrepidi marinai. Dovunque andavano razziavano e depredavano, così come avvenne nella regione francese dove si stabilirono e che da loro prese il nome di Normandia che apportarono la loro esperienza di abili costruttori. Probabilmente lo sviluppo iniziò nel 1151, quando il milite normanno Raone “Sancto Fraymundo”, per aver parteggiato per re Ruggiero, ottenne in premio l’assegnazione di diversi possedimenti, diventando Conte di Cerreto. Sembra proprio che le cose andassero bene e che i rapporti con la “capitale” Napoli, con gli Angioini, fossero di buona collaborazione.
Prova ne è, probabilmente – a leggere il libro degli ospiti presso il Castello Normanno di «C’rrit» – la scelta di Cerreto quale “porto sicuro” da parte di Luigi I d’Angiò, che si contendeva lo scettro di Re di Sicilia col cugino Carlo di Durazzo. Questi, nella primavera del 1382, aveva approntato un corpo di spedizione per entrare in Italia e ristabilire l’ordine dinastico voluto dalla defunta regina. Dopo una tappa a L’Aquila, si diresse in Campania ove incontrò difficoltà per la carenza di denaro e per le epidemie. Passando da Maddaloni, per ricevere l’omaggio dei baroni campani e dei cittadini di Napoli, Luigi andò a svernare a Montesarchio. Si recò poi a Cerreto, per rifugiarsi nel più sicuro Castello, inseguito dall’esercito del cugino Carlo, che era stato indicato come erede prima di lui.
Per porre termine alla guerra, i due contendenti pensarono di risolvere la querelle con un duello, da svolgersi nell’isola di Capri il 26 dicembre 1382. In vista del duello, che non si disputò, Luigi d’Angiò fece testamento sempre tra le sicure mura della fortezza cerretese e poi, raggiunta la Puglia,(…trafficata la strada dalla Campania alla Puglia tagliando per Cerreto….), morì a Bisceglie, lasciando il preteso diritto al trono di Napoli in eredità al figlio Luigi II d’Angiò, mentre Carlo III si consacrò legittimo re di Napoli, instaurando sul trono il ramo degli Angiò-Durazzo che durò fino all’ascesa al trono, nel 1442, di Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, primo a definirsi “re di Napoli” – (Dal 1302, con la pace di Caltabellotta i re angioini di Napoli si dichiaravano Re di Sicilia citra).
Con l’avvento degli spagnoli, i rapporti divennero subito tesi con i conti Cerretesi, di discendenza francese, come abbiamo visto, e peggiorarono irreparabilmente con l’ascesa al trono di Napoli di Ferrante (Ferdinando) d’Aragona, nel 1458. La motivazione era l’estrema avarizia dei regnanti duosiciliani. Ferdinando, stufo delle lamentele, assediò Cerreto finché non ridusse alla ragione Giovanni Sanframondo, ultimo conte della città. Aveva così raggiunto lo scopo proclamato con una missiva del 19 settembre 1461, mentre assediava Pontelandolfo: «farò innalzare le bandiere Aragonesi allo conte de Cerreto».
Nonostante il tentativo di conciliazione da parte dei Sanframondo, la vendetta si completò, a partire dal 1465, con la lenta spogliazione di tutti i beni feudali, che tornarono sotto il dominio diretto del re. Anche Cerreto seguì la stessa sorte, 3 anni dopo essere stata insignita del titolo di città:2 Solo col terremoto del 1349 il Vescovo abbandonò Telese, sede della Cattedra Vescovile: “monti si squarciavano, altri si sprofondavano avvallandosi, ed ove innanzi si ergevano una collina comparve un lago. Le acque scaturivano torbide e fangose e di colore sanguigno… sorsero ai piedi del monte Pugliano le acque sulfuree e ferrate dando origine alle asfissianti mofete, per cui la quarta Telese divenne il soggiorno della morte”. Senza fissa sede fino al 1600, quando Mons. Eugenio Savino la trasferì definitivamente a Cerreto, la Diocesi ebbe come Vescovo Angelo Massarello (1576-1557), che fu segretario di Stato di Giulio III e segretario del Concilio di Trento sotto Paolo IV.
In anno 1483 Rex Ferdinandus asserens se ipsum habere et possidere terram Cerreti cum casalibus, et signaliter cum Casali Sancti Laurenzelli, et Civitelle cum titulo comitatus (…) vendidit Diomedii Carafae per ducatis novem mille”. (ASN, Archivio Carafa di Maddaloni- Quinterioni, vol. 3, foll. 44 a tergo e 45).
Si consumò così la vendetta spagnola contro i Francesi, iniziò il dominio dei Carafa e Cerreto «…residenza dei vescovi da più secoli, capo della contea, illustre per la nobiltà dei cittadini possessori dei feudi, dovizioso per le ricchezze, ameno per l’aria, fertile per li terreni. Riguardevole per la magnificenza delle chiese e conventi, ornato di case palaziali…» (mons. Guarino, +1745, Memoria istorica dell’origine della città di Cerreto), sarebbe diventata “Civitas totius superioris status meropolis”.
NOTE:
La modalità di concessione del titolo di città è oggi stabilita dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali:
(D.l. 18 agosto 2000, n. 267, articolo 18, in materia di “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”).
Burocraticamente la legge ignora ciò che la storia ci ha dato: Cerreto non risulta infatti censita quale “città”. Il comune dovrebbe richiedere la concessione del titolo con un’istanza al Ministero dell’Interno.
Il titolo viene successivamente trascritto nel Registro Araldico dell’Archivio Centrale dello Stato. I Comuni insigniti del titolo di città utilizzano una corona turrita, formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero (caratteristiche tecniche degli emblemi sono dettate dall’art. 5 del dpcm 28.01.2011). Gli stemmi sono assegnati o con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) o con decreto del Presidente della Repubblica (DPR) (a seconda se lo stemma venga riconosciuto, quale arma ab antiquo, oppure concesso ex novo) su proposta del dipartimento del Cerimoniale dello Stato – ufficio Onorificenze e Araldica pubblica (una ripartizione della Presidenza del Consiglio nata dalla trasformazione della Consulta araldica, la cui soppressione è regolata dalle disposizioni finali della costituzione repubblicana).
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[1] I Normanni erano gente di stirpe germanica, coraggiosi guerrieri ed intrepidi marinai. Dovunque andavano razziavano e depredavano, così come avvenne nella regione francese dove si stabilirono e che da loro prese il nome di Normandia.
[2] Solo col terremoto del 1349 il Vescovo abbandonò Telese, sede della Cattedra Vescovile: “monti si squarciavano, altri si sprofondavano avvallandosi, ed ove innanzi si ergevano una collina comparve un lago. Le acque scaturivano torbide e fangose e di colore sanguigno… sorsero ai piedi del monte Pugliano le acque sulfuree e ferrate dando origine alle asfissianti mofete, per cui la quarta Telese divenne il soggiorno della morte”. Senza fissa sede fino al 1600, quando Mons. Eugenio Savino la trasferì definitivamente a Cerreto, la Diocesi ebbe come Vescovo Angelo Massarello (1576-1557), che fu segretario di Stato di Giulio III e segretario del Concilio di Trento sotto Paolo IV.