Quando non esistevano le commissioni per la Toponomastica, l’identificazione di un luogo avveniva in modo semplice e non burocratico. Semplicemente e generalmente si identificava un luogo da una caratteristica topografica, da un particolare che restava più impresso nella mente della gente e che, lentamente, passava ad identificare quel luogo perché diverso dall’altro.  Questi nomi, che vengono fuori da un particolare predominante in loco, e che ne facilita il riconoscimento, sono detti: toponimi, dal greco tòpos, “luogo”, e ònoma, “nome”. Così Cerreto deriva da un luogo ricco di Cerri, Piedimonte un paese ai piedi del monte etc.
 A volte, per evitare confusione con altri siti identificati con lo stesso toponimo, al nome principale si è aggiunto una ulteriore caratteristica.  

Così a Cerreto si è aggiunto Sannita: un luogo ricco di Cerri in territorio sannita, ovvero Guidi, dal nome dei Conti Guidi, la potente famiglia feudale che dominò la cittadina Toscana, o Cerreto Laziale. 

L’ integrazione con una sorta di “cognome” ha origini lontane se a Cominium, dal termine osco Comni , un toponimo presente in tutta l’area osco-sabellica dell’Italia antica che così indicava le località in cui ogni Touta sannita aveva un proprio luogo di assemblea, fu necessario aggiungere il termine Ocritum: tra i monti.  Evidentemente c’erano altre località in Pianura che venivano identificate col toponimo Cominium, come  quella esistente nella valle di Comino, a ridosso dell’Appennino abruzzese e del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ovvero la Cominium molisana.

Lo stesso processo è avvenuto con Forca, un toponimo che deriva dal latino “furcula”, l’osso biforcuto presente negli uccelli, per identificare una “valle profonda, una gola, un valico fra due monti a forma di V.”  Si è passati cosi da un generico “Forca”, un toponimo molto presente in Italia, a: Forca d’Acero (valico tra gli Aceri), Forca Caruso, al tempo dei Romani chiamata Furca Ferrata, Forca Canapine, Forche (perché erano più gole!) Caudine, etc. 

Questa premessa è necessaria per rendere più semplice il discorso che mi accingo a fare, come è indispensabile un’altra considerazione che vede protagonisti i Romani e la loro arte di essere abili combattenti ed intelligenti copiatori. Perché chi è intelligente, non fa semplicemente copia/incolla, ma cerca di migliorare ciò che ha appreso senza grande fatica intellettiva.

Nel verso 156 del secondo libro delle Epistole,  Orazio,  il grande poeta di Venosa, che qualcuno ha osato definire “superficiale” perché, pur essendosi fermato a dormire nei luoghi ove una “invenzione d’autore” ha collocato, incredibilmente, le Forche Caudine, non ne avrebbe parlato, scrisse una frase fondamentale per capire la politica di Roma: ”Graecia capta ferum victorem cepit: «la Grecia, conquistataconquistò il selvaggio vincitore».

Roma, dunque, conquistò la Grecia con le armi, ma questa, a sua volta, conquistò Roma con le proprie conoscenze tecniche ed artistiche. La locuzione sancisce quindi il primato della cultura sul mero potere militare, ed i Romani lo capirono bene.

Prova schiacciante è il principio dell’arco, dai greci studiato solo teoricamente, dai romani applicato concretamente per le loro costruzioni in quella che fu la prima, autentica rivoluzione tecnica della storia. Bellezza tecnica ed artistica che si fondono in un insigne monumento che, seppur sicuramente oggetto di lavori nel corso dei secoli, come chiaramente mostra anche una superficiale lettura della struttura muraria, fa ancora bella mostra di sé lungo le gole del Titerno: il ponte di Annibale, così chiamato perchè costruito dai romani nei pressi del punto ove il condottiero cartaginese avrebbe guadato il fiume. 

La grande capacità romana di appropriarsi della cultura e della tecnica singolarmente elaborata nei territori conquistati per restituire sia l’una che l’altra sotto l’unificante etichetta della “romanità”, non si limitò al solo mondo Greco, e la loro tecnica costruttiva esaltò, quasi fino alla esasperazione, i modelli architettonici già conosciuti con una proliferazione impressionante di opere. In Italia e…all’estero. Ed un grande contributo sembra proprio che sia stato dato anche dai Sanniti, esperti costruttori di muri e barriere difensive che li fece dannare per avere il sopravvento. Parlo delle alture trincerate, un sistema difensivo che, inizialmente, apparve assurdo ai romani: dei muri che non avevano nulla alle spalle. Un misto tra quelli che oggi chiamiamo “terrazzamenti” e corsa ad ostacoli. Sembra proprio che molti suggerimenti presenti nell’area italica, soprattutto sul gruppo montuoso del Matese, terra di confine e di aspri scontri, anche se praticamente ignorati dal mondo culturale ufficiale, furono compresi, sviluppati ed adottati da Roma. Questo lo deduco da alcune riflessioni nate così, quasi per caso, passeggiando su quel versante del Matese che si affaccia sulla pianura campana con Monte Acero, Monte Cigno e Monte Coppe. Una “Barriera Naturale” che pur dividendo due mondi molto diversi tra loro: i pastori-guerrieri Pentri sui monti, i colti commercianti Caudini sulla pianura Campana, si rivela “crocevia di culture” e mostra le preziose testimonianze lasciate dall’uomo nel corso dei secoli.

Gli strani muri di Monte Cigno.

Superata questa barriera naturale, si raggiunge una località particolare nel nome e nelle presenze “aliene ed inspiegabili” alla luce delle conoscenze odierne: Vallantico. Un altopiano ricco di pascoli, di segmenti di muri e di acqua. Tanti rigagnoli che poi confluiscono nel torrente più…famoso: Vallantico. Un nome che tanta gente trasforma in Vallantica, perché più “logico”: trattasi di una Valle antica. Ma non è così. Sulle antiche mappe, infatti, si legge proprio “Vallantico”, un toponimo che deriva dall’unione di due nomi: vallum : vallo, palizzata, bastione, trincea, baluardo, difesa, riparo, e antiquum: passato, vecchio, di un tempo.

Muro di confine a difesa di un insediamento sui monti del Sannio, nel quadrilatero Sepino-Cerreto-Morcone-Pietraroia
Alture trincerate in località Vallantico di Pietraroia con un dolmen (abbattuto) in cima

Lo spettacolo che si presenta agli occhi attenti di chi non frequenta i luoghi solo avendo come fine la ricerca di prati erbosi e ricchi di acqua per le pecore, ovvero i funghi Virni, non può non portare con la mente in Gran Bretagna. E il sospetto che i romani abbiano appreso qualcosa pure dai Sanniti diventa più di una ipotesi.

La Gran Bretagna è una delle mete di viaggio più ambite dai turisti europei. Ma nonostante questo, sono pochi gli esploratori che si spingono sino al confine settentrionale. Nei fatti tutto ciò è un vero peccato, poiché qui un tempo uomini addestrati con una ferrea disciplina militare costruirono la più imponente fortificazione dell’Europa antica: il Vallo di Adriano, una grande muraglia edificata dai legionari romani nel II secolo d.C. 

Un muro continuo, non segmentato come a Vallantico, realizzato evidentemente per indicare il confine dell’Impero Romano nell’estremo Nord e che serviva come difesa dalle invasioni dei Pitti, l’antico popolo che abitava l’attuale Scozia. Condizioni topografiche diverse avevano portato a soluzioni diverse: nel Sannio i muri servivano per difendere i confini del proprio territorio e creare ostacoli al suo interno per proteggere i vari “vici”.
“Alture trincerate”, le chiamò Mommsen nel II volume della sua Storia di Roma: “Durante la campagna del 277 a.C. si andò guerreggiando nel Sannio, dove una volta i Romani assalendo, alla spensierata, delle alture trincerate ebbero a soffrire gravi perdite”.

“Tenendo presente che l’arma etnica dei Sanniti, la famosa sannia, era un’arma da lancio, appare sensato supporre che le murazioni poligonali sannite, tanto frequenti e per molti versi assurde, non siano mai state delle fortezze e neppure delle fortificazioni in senso stretto, cioè opere difensive destinate a proteggere i più deboli rendendoli meno vulnerabili. Molto verosimilmente, invece, furono delle piattaforme di tiro, infrastrutture squisitamente offensive…Il loro raggio offensivo e quindi il famoso dominio, tuttavia non superò mai il centinaio di metri dalla verticale del proprio ciglio.” (Flavio Russo- Indagini sulle Forche Caudine).

Il Vallum Adriani, invece, questa incredibile costruzione, (ma forse più incredibile è il sistema adottato dai Sanniti!) oltre a essere un’opera mastodontica, non aveva solo lo scopo di difendere l’impero, ma desiderava anche disegnarne il confine. Infatti, per la prima volta nella storia tutti i cittadini avevano una sorta di passaporto e pagavano le tasse. 

Fu quindi, il Vallum, anche una vera e propria marchiatura del territorio conquistato, volle soprattutto significare una definitiva ed irreversibile trasformazione dello stesso, lo spostamento del polo di riferimento dominante che ovviamente diviene anche il nuovo polo di manipolazione della cultura. É così che a Roma si consolida la mentalità popolare, abilmente sollecitata dalla classe politica al potere, della Roma “caput mundi“. 
In Roma si sintetizzarono tutte le nuove esperienze provenienti dalle singole zone conquistate, anche del nostro Sannio, e da essa ripartono indicazioni operative che altro non sono se non la sintesi generalizzabile del mondo allora conosciuto.



Lorenzo Morone

Architetto e cultore di Storia Locale in Cerreto Sannita, ha come campi di interesse gli insediamenti abitativi sanniti. É autore di un saggio sulle Forche caudine dal titolo: "Cominium Ocritum e le Forche caudine: una storia eretica", edito nel 2023.