È storicamente assodato che i Sanniti, come del resto i Sabini e gli Osci loro antenati, non abitavano in città intese nel senso tradizionale, ma sparsi nella campagna tanto che Strabone (V, 250), parlando dei loro insediamenti, dice che «nessuno era degno di essere considerato una vera città». Scrisse Tito Livio, nel libro IX-13: “nam Samnites, ea tempestate in montibus vicatim habitantes” e quando, parlando delle guerre sannitiche, ricorda alcuni centri in cui gli abitanti si concentravano, non lo si può interpretare alla lettera perché lo stesso afferma che Aquilonia e Cominio (X, 44), prese dopo poche ore di assedio, furono interamente incendiate. Appiano (B.C. I, 5) aggiunge che Silla dopo un’ora di assedio si impadronì della irpina Aeclanum perché minacciò gli abitanti di soffocarli incendiando le mura della città, formate soltanto da travi di legno.

Le strutture urbanistiche di epoca sannitica sono quindi archeologicamente inesistenti, nonostante le capillari ricerche (meno che sui nostri monti!), tanto che  Salmon parla di agglomerati formati da capanne, costruite per durare qualche anno soltanto.
Fu solo a partire III secolo a.C. che il Sannio,  con la colonizzazione romana, ebbe un qualche sviluppo urbanistico. (Emilio Gabba Pavia, 1927 –  2013). 

Pertanto i Sanniti, scrisse  lo storico molisano di Pietrabbondante Antonio Di Iorio,  dalla vita piuttosto nomade, prevalentemente dediti alla pastorizia, si possono immaginare topograficamente divisi in tribù, nella loro lingua dette «touta», ossia nuclei etnici affini, di preferenza concentrate sulle falde delle montagne (ad vicatim scrive Livio), nelle vicinanze delle cinte fortificate e lungo le vie di comunicazione (sentieri o piste).

Questi villaggi, che i latini chiamavano «vici», si articolavano in quella specie di unità territoriale già ricordata, e detta “touta”. Erano attestati nel Sannio un po’ dovunque, ma in modo preponderante sul Matese, tra Monte Maschiaturo e Monte Coppe, da Pietraroja a Morcone, in una zona chiamata “Vallantico”. Oltre a tenere unita la gente rurale assumevano anche la funzione di mercati, perché ubicati in posti ove dovevano necessariamente transitare gli armenti nel corso della transumanza. Erano, cioè, località ove si scambiavano prodotti agricoli ed artigianali.

I Sanniti, e a maggior ragione gli Osci che prima di loro abitavano su questi monti, vivevano in piccoli villaggi, composti da un pugno di capanne “recintati e protetti” dalle cosiddette “alture trincerate”. Una sorta di percorso ad ostacolo nel quale incanalare i nemici e rendere difficile la “conquista“ dell’hurtz, l’orto sacro posto in cima al vicus.
«Nelle zone interne del Sannio è l’inizio dell’occupazione romana a segnare, a partire dalla seconda metà del III sec. a.C., la rottura con l’antico modo insediativo pagano-vicanico». Rita Compatangelo -Soussignan, professoressa di storia romana presso l’Università di Le Mans (FR).Vicedirettrice del Centro di ricerca in archeologia, archeometria, storia, che coinvolge il CNRS, il Ministero della cultura e le università di Rennes, Nantes, Le Mans.
 E furono fondate Telesia, Saepinum, Bovianum… e Caudium.

Questa totale assenza di strutture cittadine in epoca preromana, territori urbanisticamente inarticolati, l’espressione delle diverse comunità o touta si manifestavano esclusivamente nei santuari i quali non si limitavano ad instaurare rapporti fra divinità e credenti, assolvevano ad importantissime funzioni sociali. Le diverse tribù, convenendo nei santuari, riaffermavano anche, e soprattutto l’esistenza di tradizioni e di interessi comuni e le cerimonie religiose che vi si tenevano servivano anche a rinsaldare la propria unione e la propria libertà. Un altro importante ruolo del santuario era quello di favorire la circolazione interna ed esterna, ragion per cui doveva essere facilmente accessibile, naturalmente mediante le strutture viarie dell’epoca.

Il Santuario Italico Cerretese (II sec. a.C.?) in una ipotetica ricostruzione alla Tresoldi.

Ecco perché nel Sannio, come presso tutti i popoli detti Italici, i santuari erano piuttosto numerosi e sparsi un po’ dovunque; naturalmente imponevano il proprio controllo sulle comunità circostanti perché costituivano il punto di unione tra funzioni politiche. Pertanto assicurarsi il controllo su di un santuario qualsiasi significava affermare la propria autorità sul territorio in cui sorgeva. Da quanto detto, sia pure brevemente, si arguisce chiaramente che il santuario rappresentava l’elemento portante della struttura territoriale italica, e quindi sannitica, non soltanto amministrativa, politica ed economica ma anche militare perché ivi si davano convegno le più alte cariche o per coordinare una difesa comune in caso di pericolo oppure per dichiarare la guerra.

Tutte le attribuzioni demandate a questi santuari, che possiamo definire di importanza locale, venivano opportunamente coordinate in sede di riunione dei capi delle diverse tribù, riunioni che avvenivano in un santuario di importanza federale, il quale risulta archeologicamente ed epigraficamente localizzato nel territorio di Pietrabbondante, ove si davano convegno i componenti dei più grandi istituti amministrativi della federazione sannitica, come si legge in numerose iscrizioni osche colà rinvenute, per adottare tutti i provvedimenti riguardanti l’intera collettività. Ciò lo si legge anche in un’altra iscrizione, ove si cita il termine SAFINIM, che diede origine all’etnico Samnites.



Lorenzo Morone

Architetto e cultore di Storia Locale in Cerreto Sannita, ha come campi di interesse gli insediamenti abitativi sanniti. É autore di un saggio sulle Forche caudine dal titolo: "Cominium Ocritum e le Forche caudine: una storia eretica", edito nel 2023.