Come abbiamo ampiamente avuto modo di vedere, a breve distanza dall’attuale centro della ricostruita cittadina di Cerreto Sannita, nella località monte Cigno-Madonna della Libera, sorge un Tempio nel luogo dove anticamente era posto un insediamento sannita, probabilmente la Cominium Ocritum (o Cerritum), citata da Tito Livio e toccata da Annone, generale di Annibale, durante la seconda guerra punica.1T. Livio, Ab urbe condita, XXV.14
Attualmente sono ancora visibili i resti del basamento del tempio, siti nel sagrato della chiesa della Madonna della Libera, costruita proprio su queste vestigia.2Chiesa a croce latina, possiede una statua lignea databile alla prima metà del XVII secolo raffigurante la Madonna della Libera, venerata nel mese di luglio. Accanto è sita una casa, sulla sinistra, che era adibita ad abitazione dell’eremita, mentre sulla destra, è sita un’altra abitazione che fungeva da scuola.
In alcuni documenti del XVII secolo la zona dove si ergeva il tempio veniva chiamata Campo de fioreo Campo de fiori. Secondo alcuni storici l’appellativo fiore o flore deriverebbe da Flora, divinità alla quale era intitolato il tempio.3Un documento scritto che avvalora la tesi di una presenza di un insediamento sannita, esistente nella zona dove sono siti i resti del tempio, deriva da un documento del notaio Mario Cappella del 1593 che evidenzia come in quell’epoca nei cerretesi si conservava ancora il ricordo di un paese della Rocca del Cigno, corrispondente al villaggio sannita-romano che si trovava proprio nella zona compresa fra il tempio e la Rocca di monte Cigno (la parte terminale della montagna). Cfr.: R. Pescitelli, Chiesa Telesina: luoghi di culto, di educazione e di assistenza nel XVI e XVII secolo, Auxiliatrix, 1977, pp. 88-89.

Il termine Tempio proviene, nella nostra lingua, da un’epoca più tarda di quella descritta nei testi biblici; in epoca latina il templum era il settore del cielo che gli àuguri delimitavano con l’aiuto di una verga rituale; in questo quadrante di cielo venivano osservati fenomeni celesti e il volo degli uccelli da cui si traevano presagi e premonizioni. Successivamente queste aree, per rafforzarne la sacralità e per proteggerle vennero recintate e divennero di fatto un luogo chiuso, un edificio sacro adibito all’osservazione e al culto, una porta verso altre dimensioni, segnatamente quella divina.
Profano è colui o colei che non è ammesso nel sacro recinto in quanto non ritenuto ancora idoneo; fanum infatti è sinonimo di templum e pro-fanum è colui che sta davanti (pro) al Tempio (fanum) senza avere l’autorizzazione ad entrarvi. Da qui capiamo come mai i Templi arcaici,4E quelli massonici odierni. al proprio zenit, abbiano la volta stellata: in questo luogo l’Uomo, in un saldo e puro attaccamento alla natura, cercava di interpretare i segni divini del mondo iperuranio e di attingere così ad un piano superiore e metafisico rispetto a quello terreno.
Questo è un assioma valido a tutte le latitudini e in tutte le epoche dell’Uomo:
«…un Tempio rappresenta il luogo di congiunzione fra i cielo e la terra, il riflesso del mondo divino. Esso riproduce la creazione del mondo e si trova dunque legato alla cosmogonia, al sistema di formazione dell’universo. Esso diviene la porta verso un altro mondo. Sintesi del macrocosmo, il tempio è anche l’immagine del Microcosmo poiché rappresenta insieme il Mondo e l’Uomo…». 5I. Mainguy, Simbologia massonica nel terzo millennio.
Il tempio è anche il luogo della manifestazione della Shekinah, concetto ebraico relativo alla reale presenza divina, sempre presentata come un ente assolutamente luminoso, luce pura e chiarissima. Pertanto preso atto dell’importanza del luogo e della sua funzione, viene da sé che pochissimi posti possano davvero essere definiti Templi per loro natura. Essi devono essere posti in un luogo deputato al sacro in un auspicatus locus, ovvero in un posto effettivamente idoneo per le energie cosmiche e telluriche ad esso afferenti. Del tempio, dedicato alla Dea Flora, sono rimasti solo alcuni blocchi poligonali siti nel sagrato della chiesa della Madonna della Libera e che costituivano la base del podio del tempio. Su questi blocchi trovavano posto degli altri blocchi di pietra squadrata messi al contrario rispetto ai precedenti. Su questi ultimi blocchi poggiavano le colonne che erano decorate da capitelli in pietra riccamente fogliati. Alcuni di questi capitelli sono stati trovati in alcune stalle dei contadini dove erano usati, dopo essere stati scavati nel mezzo, come abbeveratoi per galline.6Cfr.: V. Mazzacane, Memorie storiche di Cerreto Sannita, Liguori Editore, 1990; N. Rotondi, Memorie storiche di Cerreto Sannita, a cura di A. Santagata, manoscritto inedito conservato nell’Archivio Comunale, 1870; Pro Loco Cerreto Sannita, Una passeggiata nella storia, Cerreto Sannita, Di Lauro, 2003.
Al centro del basamento una spaccatura è suggestiva dell’accesso al sacello del tempio mediante una scalinata.Ovviamente i resti del Tempio Italico sono stati usati per erigere l’edificio sacro cattolico e, alcuni blocchi, sono stati usati nel XVIII secolo per realizzare la fontana sita a poche decine di metri dalla chiesa della Madonna della Libera.
Nell’immagine7Rielaborazione a cura dello Studio dell’Architetto Lorenzo Morone.che segue vi è una ricostruzione dell’originale pianta del luogo sacro.

Il culto di Flora era presente presso i popoli italici. Sia i Sabini che i Vestini avevano un mese dedicato a Flora, che corrispondeva al nostro luglio nel caso dei Vestini mentre è ignota la corrispondenza nel caso dei Sabini.8E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Einaudi, 1985.
La Dea si trovava, ovviamente, anche presso i Sanniti dove viene menzionata nella Tavola di Agnone con il nome indigeno di Fluusai Kerriiai, vale a dire Flora di Cerere. Questo stretto legame tra le due Dee sembra sia esistito anche a Roma, dove Flora sarebbe stata considerata ministra di Cerere.9Scolii a Giovenale, 6, 249: ”… Flora erat apud antiquos ministra Cereris…”.
Cosa lega questo luogo, in modo imprescindibile, a questo culto?
Fluusai Kerriiai (Flora) è la dea italica della fioritura dei cereali e delle altre piante utili all’alimentazione, compresi vigneti e alberi da frutto.10G. Dumézil, La religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, 1977, p. 247.
In una traduzione più accurata della Tavola di Agnone, abbiamo che il quadro completo di KerriI che si trasforma, nel sesto rigo, in AMMAi KERRiIAi, in cui compare il suffisso AiS (meridionale) senza la S. Proseguendo nella traduzione di questa parte della Tavola compare il termine PATAREI (pietra-montagna). La Tavola si conclude con SAKARATER (terra sacra).
Una Dea legata indissolubilmente agli archetipi Italici della pietra e della terra che abbiamo già incontrato nei precedenti capitoli.
Col tempo venne intesa come Dea della primavera e mantenne anche presso i Romani la stessa valenza religiosa. Il suo culto si perde nella notte dei tempi essendo presente addirittura nei riti dei fratelli Arvali.
Dal 28 aprile al 3 maggio di ogni anno, momento critico della fioritura delle messi, si svolgevano i Ludi Floreales o più semplicemente Floralia, feste dedicate alla Dea, non è possibile individuare se questi riti fossero presenti già in epoca Italica.11R. Del Ponte, Dei e miti italici, Genova, ECIG, 1985, p.153.
Ma è certo che questi due simboli, la Grande Madre e la coltivazione dei cereali, sono l’uno conseguenza ciclica dell’altro e, oltre ai solstizi, come già descritto, sono legati da tradizioni ancora più antiche e legate ad un genius loci ancestrale che, ancora oggi, è presente in questo territorio. Approfondiamoci in questi due simboli…
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[1] T. Livio, Ab urbe condita, XXV.14
[2] Chiesa a croce latina, possiede una statua lignea databile alla prima metà del XVII secolo raffigurante la Madonna della Libera, venerata nel mese di luglio. Accanto è sita una casa, sulla sinistra, che era adibita ad abitazione dell’eremita, mentre sulla destra, è sita un’altra abitazione che fungeva da scuola.
[3] Un documento scritto che avvalora la tesi di una presenza di un insediamento sannita, esistente nella zona dove sono siti i resti del tempio, deriva da un documento del notaio Mario Cappella del 1593 che evidenzia come in quell’epoca nei cerretesi si conservava ancora il ricordo di un paese della Rocca del Cigno, corrispondente al villaggio sannita-romano che si trovava proprio nella zona compresa fra il tempio e la Rocca di monte Cigno (la parte terminale della montagna). Cfr.: R. Pescitelli, Chiesa Telesina: luoghi di culto, di educazione e di assistenza nel XVI e XVII secolo, Auxiliatrix, 1977, pp. 88-89.
[4] E quelli massonici odierni.
[5] I. Mainguy, Simbologia massonica nel terzo millennio.
[6] Cfr.: V. Mazzacane, Memorie storiche di Cerreto Sannita, Liguori Editore, 1990; N. Rotondi, Memorie storiche di Cerreto Sannita, a cura di A. Santagata, manoscritto inedito conservato nell’Archivio Comunale, 1870; Pro Loco Cerreto Sannita, Una passeggiata nella storia, Cerreto Sannita, Di Lauro, 2003.
[7] Rielaborazione a cura dello Studio dell’Architetto Lorenzo Morone.
[8] E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Einaudi, 1985.
[9] Scolii a Giovenale, 6, 249: ”… Flora erat apud antiquos ministra Cereris…”.
[10] G. Dumézil, La religione romana arcaica, Milano, Rizzoli, 1977, p. 247.
[11] R. Del Ponte, Dei e miti italici, Genova, ECIG, 1985, p.153.