Il culto di Sant’Antonio a Cerreto si diffuse prestissimo nel medioevo e risale a quando, nel 1244, nel vecchio paese fu fondato il convento dei francescani con la relativa chiesa dedicata al Santo nativo di Lisbona. Sant’Antonio, infatti, era portoghese e si chiamava Fernando di battesimo, divenne prima frate agostiniano poi francescano, allorché cambiò nome ispirato da Sant’Antonio Abate. Scelse Padova come sua residenza abituale e lì morì nel 1231 a soli 36 anni. Nel giro di un anno dalla sua scomparsa fu proclamato Santo. Quindi, dopo soli 13 anni dalla morte i cerretesi già veneravano il loro patrono.1R. Pescitelli – Palazzi Case e famiglie cerretesi nel XVIII secolo- Tetaprint 2009
L’incantevole statua d’argento del Santo, portata in processione il 13 giugno, fu opera del cesellatore napoletano Antonio Perillo che la completò nel 1656, pagata con i soldi di una ricca famiglia cerretese. La pregiata scultura, custodita nella cattedrale di Cerreto, contiene a livello del petto un pezzo di saio, che si vuole sia appartenuto al Santo, protetto da un cristallo.

Si narra che una volta la statua d’argento fu oggetto di un tentativo di furto. Il prezioso metallo la rendeva pesante e difficile da trasportare a braccia così i malfattori pensarono di caricarla su un carro trainato da buoi. Ma gli animali, giunti all’incrocio tra Sant’Elia di San Lorenzello e Massa di Faicchio, si impuntarono non riuscendo più a procedere. Vani furono anche i tentativi dei ladri di portarsi la statua a spalle perché era diventata così pesante che tutti insieme non riuscirono a sollevarla nemmeno di un centimetro. La statua fu ritrovata il mattino successivo e i fedeli in quel preciso punto vollero erigere, a ricordo del miracolo, una cappellina ancora detta di Sant’Antoniegl’.
Fu proprio quel pezzo di stoffa incapsulato nel vetro che miracolò il piccolo Giovan Camillo Rosati nel 1721. Aveva circa 10 anni Giovan Camillo quando venne assalito da una febbre maligna. Nonostante le cure la malattia si protrasse per oltre un mese e andò aggravandosi con uno stato di agitazione e con la perdita della parola. La lingua- dissero i medici- si era ritratta.
Aveva avuto solo un lieve miglioramento quando il padre e uno zio prete, disperati, gli proposero una visita al Santo delle tredici grazie. Lui accettò annuendo con la testa. Dopo qualche giorno da questa prima visita fu il ragazzo stesso a chiedere per iscritto, nonostante la contrarietà dei genitori a causa del freddo intenso di quella stagione, di tornare in chiesa per baciare la statua di Sant’Antonio affinché gli facesse la grazia di poter parlare, così “passò la lingua” sul cristallo posto nel petto della statua contenente la reliquia del Santo. Il mattino successivo chiamato dal padre riuscì, incredibilmente, a parlare rispondendo con uno “Gnò?”2Letteralmente sarebbe “Signore?”, oggi diremmo semplicemente “si?”al genitore.
Il fatto suscitò immediato clamore in paese, il giovane venne portato in chiesa, accompagnato da uno stuolo di preti e gente del popolo, dove venne chiamato persino un notaio a ratificare l’accaduto che raccolse anche le dichiarazioni del bambino che affermò di avere avuto “un forte dolore alla gola e la lingua perciò gli si era accorciata ma nel baciare il gloriosissimo Santo, subito gli si era allungata”.
Lo scalpore durò molti giorni durante i quali fu esposta, eccezionalmente, al pubblico la statua d’argento.
Il miracolo, così venne definito e percepito dal popolo, rafforzò la già solida, antica e grande venerazione che i cerretesi nutrivano per il Santo di Padova ed è del tutto probabile che quel prodigio indusse il vescovo Francesco Baccari dieci anni dopo, nel 1731, a proclamare, anche formalmente, Sant’Antonio patrono del paese.
Giovan Camillo Rosati, a dispetto delle malattie patite, campò fino a 87 anni.
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Bibliografia:
R. Pescitelli, Palazzi Case e famiglie cerretesi nel XVIII secolo, Ed. Tetaprint, 2009.