A Cerreto Sannita, lungo l’antica strada che conduce a Telese, si erge preceduta da un piccolo piazzale la chiesa di Santa Maria Assunta.
L’imponente portale in pietra locale, realizzato dal maestro cerretese Antonio Di Lella nel 1753, presenta dei femori incrociati ed un teschio in marmo greco a cui si deve l’altra denominazione del luogo sacro: Santa Maria del Monte dei Morti.
La chiesa, infatti, era la sede di un’associazione di laici, denominata “Confraternita del Monte dei Morti”1Notizie di tale confraternita provengono da un documento del 1639. la cui prerogativa era provvedere alla sepoltura di poveri confratelli e sostenere con la preghiera le loro defunte anime. Nel pavimento dell’unica navata è possibile ancora oggi vedere tre lapidi che introducevano in altrettante sepolture: la prima di esse era occupata dai corpi delle consorelle, la seconda era riservata alla sepoltura dei confratelli, mentre la terza, la più grande, riceveva le spoglie dei poveri del paese.2Nella Cerreto del ‘700 ciascuna delle quattro maggiori confraternite provvedeva a seppellire i defunti di un determinato ceto. Mentre nella chiesa di Santa Maria erano sepolti i poveri del paese, nella vicina chiesa di San Rocco venivano custoditi i corpi dei contadini e dei poveri delle campagne. Il ceto medio aveva la propria sepoltura presso la Chiesa di Sant’Antonio mentre i cerretesi più ricchi riposavano nella Chiesa della Madonna di Costantinopoli.. Proprio in questo luogo sacro fu sepolto l’ultimo corpo laico all’interno di una chiesa cerretese, nello stesso giorno in cui fu messo in funzione il Cimitero comunale: il 6 ottobre del 1869.
L’attuale edificio sacro risale al periodo di ricostruzione della cittadina successivo al terremoto del 1688. Nella vecchia Cerreto la chiesa era situata nel cuore del borgo medievale e dominava una piccola ma importante piazza sede dei principali edifici pubblici e della Corte di giustizia, un vero e proprio “foro” tanto che il nome originario della chiesetta era “Santa Maria in capite foris” o “denante Corte”.
L’attuale edificio è a navata unica con cappelle laterali, transetto, cupola e presbiterio.
Di significativa importanza e di notevole impatto sono le pareti laterali del transetto soprannominate “le pareti della vita e della morte” a seconda delle raffigurazioni stuccoree su di esse presenti.
Incastonato alla parete destra il bel dipinto, firmato dal sacerdote ed artista Paolo De Falco nel 1725, ritraente la Madonna con il Bambino fra i Santi Riccardo, Nicola di Bari e Pasquale Baylon.
Tutto intorno ci sono delle eleganti decorazioni settecentesche in stucco che riempiono l’intera parete e che si rendono particolarmente apprezzabili per l’armonia dei vari putti presenti.
In basso, ai lati dell’interessante altare in pietra rosa, possiamo vedere due riproduzioni in stucco della famiglia Di Lella o De Lellis che commissionò l’altare. Lo stemma raffigura un sole raggiante ed una mezzaluna nella parte superiore, un giglio che spunta dalla centrale di tre collinette nella parte inferiore. Le due iscrizioni sottostanti contengono un ricordo della benedizione dell’altare da parte del vescovo Baccari nel 1725 (a sinistra) e un responsorio dedicato a San Riccardo (a destra).
Il tema narrativo della parete opposta cambia ed è dominato dal trionfo della morte. In alto, due putti scarniti reggono un medaglione contenente un teschio alato che ammonisce i fedeli. Il putto a destra, il più scarnito dei due, viene rappresentato ormai prossimo alla morte mentre è intento a trovare le forze ed il coraggio di guardare il cranio che regge con una mano. Sotto questa scena macabra si trova la bellissima tela di Paolo De Falco raffigurante le anime del purgatorio, immortalate fra le fiamme della purificazione, in attesa di ottenere la salvezza divina. Al centro della tela un angelo inginocchiato regge i simboli della celebrazione eucaristica. Il messaggio dell’opera è in sintonia con l’intendo della Confraternita, e cioè: grazie alla celebrazione delle Sante Messe in suffragio dei defunti, gli angeli scendono nel purgatorio per recuperare le anime e portarle in paradiso (scena ben visibile in primo piano nel dipinto). Sullo sfondo la Trinità attende le anime redente. Le scene macabre continuano ai lati dell’altare: quest’ultimo presenta dei teschi con i femori incrociati e un curioso stemma della famiglia Grillo (un grillo intento a salire una scala, chiaro riferimento all’ascesa sociale di questa famiglia cerretese che nel ‘700 riesce finalmente a finanziare un altare di suo patronato). Il contrasto con la parete destra del transetto è evidente: mentre lì i putti sono sereni e paffuti, qui diventano moribondi o addirittura scheletrici. A destra dell’altare c’è un putto scheletrico che regge la falce che tutto recide, mentre a sinistra un altro putto regge la clessidra, a ricordo dell’inesorabile appuntamento con la morte.
Di altrettanta importanza l’altare centrale in marmo in stile barocco la cui particolarità sta nel fatto che a partire dalla metà dell’ottocento si diffuse la pratica di allargare e rialzare gli altari centrali delle chiese. Le opere venivano realizzate mediante le offerte votive dei fedeli. Lì dove le offerte erano abbondanti venivano utilizzate materie prime particolarmente pregiate. Ciò naturalmente dipendeva dal tenore di vita delle famiglie donatrici. Basti notare che l’altare della Collegiata di San Martino insieme a quello della chiesa di San Rocco sono stati ampliati grazie agli interventi di molte famiglie cerretesi che avevano trovato fortuna in America. Sorte diversa per la chiesa di San Maria, che essendo luogo cimiteriale di non nobili e basso ceto, non disponeva delle finanze adeguate a sostenere ingenti spese di ristrutturazione. Pertanto, con opera e ingegno l’altare, originariamente in marmo, venne ampliato ed elevato utilizzando semplicemente del legno e dei colori miscelati e combinati talmente bene da evitare qualsiasi distacco armonico rispetto al colore marmoreo. Ciò è testimonianza non solo dell’abile manualità utilizzata dagli artigiani del tempo, ma anche dell’immensa pazienza, costanza e della fede nel portare a termine un’opera di grande entità. Pur se non risalta facilmente all’occhio, importantissima è la cappella di San Brunone sita alla destra della navata e centralmente alla parete della vita. La cappella che ospita la pala d’altare di san Brunone cela un messaggio al contempo esoterico e religioso che non sfugge all’occhio attento di un acuto osservatore, fortemente voluto dall’artista creatore.
Per comprendere al meglio il messaggio occorre però soffermarsi, procedere a piccoli passi ed inquadrare il contesto storico in cui l’autore operava. Ci troviamo nella Cerreto del ‘700, post l’irruento, funesto e dannoso terremoto del 1688, alle sue nuove origini, non disponendo pertanto delle opere pubbliche ed architettoniche di un normale contesto cittadino. Pian piano riiniziava la ripresa economica del paese, grazie anche alla politica attiva esercitata dai conti Marino e Marzio Carafa, straordinari economi e statisti del tempo. Su volere del conte Marino Carafa, generale della famiglia napoletana, e grazie alle sottoscrizioni da parte del Conte Marzio (sulla carta, ma non di fatto, più potente del fratello perché primogenito maschio), al fine di riportare la civitas al suo straordinario splendore, fu varato un progetto di ricostruzione ex novo del paese che prevedeva dei finanziamenti a fondo perduto a chiunque avesse voluto costruire una nuova casa più a valle. L’intendo era di riportare ben presto la città al suo antico splendore. Il progetto di ricostruzione del paese fu affidato all’architetto GiovanBattista Manni, il quale utilizzò la città di Torino come prototipo di costruzione della nuova Cominium Ceritum. Il progetto, così realizzato, prevedeva la presenza di tre corsi parallele intersecate da vicoli laterali. Tale architettura aveva due pratiche ragioni: innanzitutto permettere alla popolazione di fuggire e tentare la salvezza in caso di un nuovo terremoto visti gli ingenti spazi e le molteplici vie di fuga; la seconda di permettere all’acqua di defluire velocemente senza creare danni ingenti alle colture, in caso di alluvione, essendo il paese circondato da tre fiumi affluenti nel Titerno. Come detto la popolazione versava in condizioni economiche disastrose. I Carafa ebbero l’intuizione di finanziare a fondo perduto l’intera ricostruzione. Il gesto di solidarietà veniva ricambiato con il fatto che i reggenti del paese sarebbero automaticamente diventati i proprietari di tutte le botteghe artigiane, di conseguenza date in locazione ai poveri lavoratori. Il fatto che la città originaria era stata completamente rasa a suolo (si pensi che su una popolazione di 8.000 abitanti più di 4.000 persero la vita) fu causa della mancanza di luoghi di sepoltura e cimiteri, mancando gli spazi in cui rendere onore ad una moltitudine di defunti. In mancanza di un cimitero che potesse accogliere le anime dei defunti (bisognerà aspettare al 1869), ad accogliere le loro spoglie erano direttamente le chiese. Diverse di queste adibite solo a luogo di sepoltura, ma tutte con delle catacombe, ove le anime defunte venivano raccolte in fosse comuni a seconda del loro ceto. Di diversa sorte le anime defunte delle famiglie nobili tra le quali era diffusa la pratica di comperare vere e proprie cappelle, con funzione sepolcrale, all’interno delle chiese. Gli spazi interni alle chiese, ben presto, divennero di proprietà di più famiglie, motivo questo per cui ancora oggi le cappelle laterali (vedasi la Collegiata di San Martino) presentano stili architettonici completamente diversi e disarmonici rispetto all’insieme. Fino alla nascita del cimitero, quindi, chi poteva edificava ed abbelliva la cappella familiare all’interno delle chiese dotandola anche di altari per la celebrazione delle funzioni religiose pro anime purganti.
Di tal tipo la cappella che ospita la pala di san Brunone raffigurante il santo inginocchiato in un bosco in adorazione della Madonna3R. Pescitelli in Cerreto Sacra. di proprietà della famiglia Nardella ed ereditata dagli ascendenti Mastracchio come si legge in basso al lato sinistro del pavimento. Al lato della tela due stucchi raffiguranti anime in vita. Ciò che colpisce, e si spera colpirà anche il lettore, sono la cornice e la corona lignea4 E non in stucco come riportato da Pescitelli in Cerreto Sacra. che sovrasta la pala; la sola ad essere così elaborata tra le diverse chiese cerretesi. L’opera, particolarmente minuziosa, racchiude insieme i vari temi e significati trattati nel libro; tutto grazie agli intarsi, frutto di un’eccellente manualità, il cui autore ha saputo ben armonizzare con prospettiva e luce, portando l’occhio dell’osservatore oltre la realtà dando origine a figure di per sé mancanti. Risalta subito all’occhio l’illustrazione al di sotto della corona raffigurante tre stelle ad otto punte una mano che sorregge un compasso tracciante il mondo e due figure intersecate tra loro dalle quali si origina una M. Stando alle notizie riportate dallo storico Renato Pescitelli trattasi dello stemma familiare dei Mastracchio, di cui però mancano notizie certe. Condivisibile interpretazione: la M richiamerebbe l’iniziale del cognome di famiglia; la mano che sostiene il compasso potrebbe essere un simbolo sostitutivo della bilancia e quindi rimandare all’amministrazione della giustizia o ad una carica esercitata nell’ambito della magistratura; le stelle simbolo di una vita vissuta con rettitudine e priva di eccessi. Altra interpretazione è quella di chi vive ed ha vissuto nel giusto facendo della fede della speranza e della carità le proprie virtù. L’opera, tenendo conto dell’epoca storica in cui si ci trova e della funzione per la quale la chiesa era stata edificata, in una visione di insieme, apre la via ad una terza interpretazione, che per chi scrive, è la più convincente. Naturalmente, trattandosi di simboli interpretabili in modi diversi, non esisterà mai un’unica visione; voglia pertanto il lettore avere occhio critico e far rientrare il caso concreto in un più fattispecie benissimo integrabili fra loro. Guardando la pala nel suo insieme sembrerebbe che la corona nasconda i simboli del sole e della luna. Ponendo attenzione agli intarsi che dalla corona proseguono ai lati opposti si nota subito come nella loro similitudine presentino elementi completamenti diversi.
Nulla appare sul lato sinistro, mentre, dagli intarsi del lato destro emergono figure attribuibili a volti di uccello contrapposti al becco dell’aquila che promana dalla corona. In realtà nessuna di queste immagini è stata creata dall’autore, piuttosto voluta. Bensì trattasi di un gioco di luci, intarsi e prospettive da cui si originano le figure così come appaiono all’occhio umano. Automatico chiedersi allora perché attribuire significato a figure inesistenti. Ebbene è l’opera a volerlo. Il pubblico osserva l’opera dal basso ed in prospettiva. Sono visibili ed innegabili: un sole, una luna, un aquila e due uccelli, come dalla foto in seguito. Tali simboli che legano perfettamente con la mano che sostiene il compasso, le stelle ad otto punte e la M. La M e le stelle ad otto punte sono un richiamo alla vergine Maria, madre di tutti gli uomini e Madre di Dio a cui la chiesa è dedicata. Il compasso è il simbolo dell’ordine e della perfezione di Dio. La mano è Dio che, usando il compasso, ha creato un mondo perfetto a sua immagine e somiglianza. L’aquila in lotta con gli uccelli (figurativamente corvi) simboleggia la risurrezione. Pertanto, eretta sulla parete della vita in una chiesa cimiteriale, seguendo quanto detto dei simboli analizzati nei rispettivi saggi, si può concludere che l’interpretazione più suggestiva da attribuire alla Cappella di San Brunone è: la vittoria del bene sul male, della vita sulla morte; lo scorrere armonioso della vita. Compasso e mappamondo li ritroviamo raffigurati, insieme, in una lunetta presente in una cappella laterale della chiesa di Santa Maria della Morte in Cerreto Sannita. L’immagine racchiude sia il mappamondo che il compasso. Vi è contenuto anche lo stemma familiare dei proprietari della cappella, cosa non inusuale dato che le stesse venivano acquistate da famiglie agiate come oggi i loculi cimiteriali. La cappella fu iniziata dalla famiglia Nardella e completata dalla famiglia Mastracchio che vi pose il suo stemma visibile a lato del mappamondo. La mano che regge il compasso si presta a diverse interpretazioni. Le tre stelle a sei punte (Fede, Speranza e Carità) sorvegliano lo strumento (compasso) che indica, a chi si affida alla mano di Dio, la protezione su tutta la terra attraverso l’armonia e l’ordine.
Il compasso, in questo caso usato per regolare l’equilibrio del mondo, è anche il simbolo del dinamismo e del movimento, e di conseguenza dello scorrere della vita molto suggestivo in una chiesa dedicata proprio ai defunti.
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[1] Notizie di tale confraternita provengono da un documento del 1639.
[2] Nella Cerreto del ‘700 ciascuna delle quattro maggiori confraternite provvedeva a seppellire i defunti di un determinato ceto. Mentre nella chiesa di Santa Maria erano sepolti i poveri del paese, nella vicina chiesa di San Rocco venivano custoditi i corpi dei contadini e dei poveri delle campagne. Il ceto medio aveva la propria sepoltura presso la Chiesa di Sant’Antonio mentre i cerretesi più ricchi riposavano nella Chiesa della Madonna di Costantinopoli.
[3] R. Pescitelli in Cerreto Sacra.
[4] E non in stucco come riportato da Pescitelli in Cerreto Sacra.