La presenza, nei Viceregni ispanici d’America, di artisti ed opere di origine italiana è stata una costante durante tutta l’Età Moderna, con speciale rilievo per quei maestri che provenivano da territori politicamente legati alla Corona spagnola degli Asburgo e, più tardi, dei Borbone, tra cui menzione speciale merita il sovrano Carlo III che, come ben noto, prima di ascendere al trono madrileno, fu re di Napoli e di Sicilia.

Questo si legge nella presentazione del volume “Uno scultore per le nuove terre” di Francesco De Nicolo, laureato in Scienze dei Beni Culturali, laurea magistrale in Storia dell’Arte presso l’Università “Aldo Moro” di Bari e Dottore di Ricerca in Storia dell’Arte presso l’Università di Granada (Spagna) con la massima qualifica, cum laude. Silvestro Jacobelli, protagonista di questo volume, è un’artista inquieto che svolse la sua attività creativa, dopo l’iniziale formazione a Napoli, dapprima nel suo paese nativo, dove firmava le sue opere apponendo la specifica topografica «Cerreto Fecit», per poi trasferirsi in Spagna, a Madrid e a Cadice, probabilmente nel 1759, finendo per imbarcarsi, nel 1770, per l’America dove installò una nuova bottega a Lima e dove terminò i suoi giorni.

La qualità delle opere di Jacobelli e la sua consapevolezza come maestro, scrive Rafael López Guzmán, Cattedratico di Storia dell’Arte presso l’Universidad de Granada, spinsero l’artista cerretese a partire verso la capitale spagnola dove regnava un monarca napoletano, Carlo III.

In Spagna, a Puerto del Mar, ogni sette anni, una sua Dolorosa veniva portata in processione durante la settimana santa: “una magnifica immagine di Dolorosa scolpita dal napoletano Silvestero Jacobelli, secondo un’iscrizione posta sotto il collo. In esso spiccano il volto, di grande forza espressiva (riflette la tristezza e l’angoscia non prive della dolcezza, della bellezza e della dignità di una donna matura sofferente) e le mani, grandi e aperte in atteggiamento declamatorio” (Gente del puerto, 7/05/22).

La Dolorosa di Puerto del Mar

Ma il prestigio di Jacobelli emerge con evidenza, una volta installatosi a Lima, quando firmò, insieme con i pittori che in quel momento dominavano la scena artistica della capitale viceregia, la petizione fatta al viceré del Perù per il suo riconoscimento come professore nell’arte della pittura, specifica che ci dimostra la capacità di adattamento ed integrazione dell’artista cerretese.

Ma perché andare in Perù, Vicereame di Spagna, quindi sotto la guida dei Borbone? Forse una pò di storia ci aiuterà.

Il Perù è uno Stato dell’ America Latina, fulcro dell’Impero Inca prima e della colonizzazione spagnola poi. Il centro della cultura Inca era la città di Cusco fino al 1542 quando il conquistador Francisco Pizarro, arrivato in Perù alla guida degli spagnoli, riuscì a conquistare Cusco creando il Vicereame del Perù. La capitale della nuova colonia venne spostata nella nuova città di Lima fondata sul mare per favorire i collegamenti con la madrepatria spagnola. Ma se questa fu una scelta “commerciale”, ci fu una scelta culturale ben più grave: esportare in Perù la cultura e la religione della cattolicissima Spagna: unire il vecchio mondo nel nuovo, assimilando la cultura indigena alla propria, in un processo di identificazione forzata. L’incontro-scontro delle due civiltà comportò cambiamenti traumatici nella civiltà aborigena, con l’imposizione della parola e, quindi, del pensiero, nonché la sostituzione degli Dei Inca con quelli della cattolicissima Spagna dei Borboni. Simbolo di questa contaminazione/sostituzione furono le missioni cattoliche coloniali costruite in uno stile descritto come barocco andino rurale, con una fitta schiera di artisti li chiamati per realizzare opere che propagandassero i simboli del cattolicesimo a scapito di quelli indigeni. A mio parere la chiesa di San Cristóbal de Rapaz, una piccola città sulle Ande, col suo ciclo di affreschi, ben rappresenta il periodo di passaggio tra la cultura Inca e quella spagnola, fondendo artigianato indiano, riferimenti a credenze e divinità precolombiane e tradizioni cristiane. In questi affreschi è facile notare qualcosa di molto simile ai messaggi ed ai decori della ceramica cerretese.

In questo periodo di profonda riorganizzazione politico-economica ebbe origine il più importante processo insurrezionale dell’era coloniale, ovvero l’insurrezione guidata dall’ultimo imperatore inca Tupac Amaru.  Nel novembre del 1780 i tupamaros (seguaci di Tupac) sbaragliano l’esercito spagnolo nella battaglia di Sangarará, ma gli entusiasmi si placano in pochi mesi: il capo dei ribelli viene catturato, sottoposto a un processo lampo e condannato a morte insieme a moglie e figlio. Il 18 maggio 1781, nella Plaza mayor di Cusco, a Tupac Amaru II viene tagliata la lingua e, legato mani e piedi a quattro cavalli, venne squartato sotto gli occhi di una folla atterrita. Ma la ribellione continuò e si estese in Bolivia e nel nord-est argentino. Tupac Amaru non aveva combattuto invano. Di lì a breve nuovi fermenti avrebbero scosso il vicereame: alla colonia spagnola restano pochi decenni di vita. Il 28 luglio 1821, nella Plaza Mayor di Lima, San Martín proclama l’indipendenza del Perù, autoproclamandosi protettore del Paese. Ma il paese è nel caos. Solo l’intervento di Simón Bolivar, il “libertador”, decreta la fine effettiva della colonia, assumendo nel 1824, la guida del paese. 

Silvestro Jacobelli, dunque, si recò a Lima, forse fu lì inviato proprio dai Borbone, proprio in questo periodo critico, di transizione, “forse” nel tentativo di salvare il salvabile, per continuare a propagandare con la sua arte il cristianesimo. E le sue opere sembrano proprio voler abbinare iconografia nostrana e colori peruviani, a dimostrazione che il passaggio da una cultura all’altra doveva essere non traumatico ma quasi spontaneo: veniamo da amici. Vestiamo i vostri colori. Chissà…

Lima- S. Giuseppe col bambino- Chiesa della Buona morte

All’artista Silvestro Jacobelli, il Comitato per il 300° della nascita, 5 aprile 1724, presieduto dall’Ing. Letizio Napoletano, ha dedicato una serie di manifestazioni che, dopo la presentazione del libro Silvestro Jacobelli-Uno scultore per le Nuove Terre, realizzato e venduto, anche online, dal Museo Diocesano di Barletta, ha visto l’organizzazione di una Mostra Impossibile, sulla scia delle tante nate da una semplice idea:  allestire delle mostre che diano una visione d’insieme delle opere dei grandi artisti, disperse in città di diversi continenti, che rende pressoché impossibile averne una visione globale.

La mostra, organizzata col contributo del GAL Titerno, rimarrà aperta durante tutte le Domeniche dell’Olio (3-10-17 Novembre) negli orari 10:00-12:00 e 16:00-18:00, nella Chiesa di Maria SS di Costantinopoli, messa a disposizione dalla Congrega presieduta dal Priore Gianni Teta e dal Parroco Don Antonio di Meo. Per tale disponibilità il Comitato ha deciso di donare alla Chiesa i dieci pannelli retroilluminati che tanto apprezzamento hanno destato già nel primo giorno di esposizione. Visitare la mostra sarà un motivo in più per ammirare una delle più belle Chiese della Provincia.

Un grazie particolare a S.E. il Vescovo Giuseppe Mazzafaro, al sindaco di Cerreto Giovanni Parente, ai Parroci Don Antonio di Meo e Don Franco Pezone, a Don Edoardo Viscosi ed al Priore della Congrega Gianni Teta.

La mostra impossibile- Chiesa di Maria SS di Costantinopoli


Lorenzo Morone

Architetto e cultore di Storia Locale in Cerreto Sannita, ha come campi di interesse gli insediamenti abitativi sanniti. É autore di un saggio sulle Forche caudine dal titolo: "Cominium Ocritum e le Forche caudine: una storia eretica", edito nel 2023.