Questo lavoro è un estratto del libro “Telese” di cui sto curando la pubblicazione coadiuvato da molti altri appassionati di Storia Locale dell’Istituto Storico del Sannio Telesino. Le biografie dei Vescovi telesini furono oggetto di un approfondito lavoro alla fine dell’800 da parte di mons. Giovanni Rossi. Agli inizi del 2000, su spinta del Vescovo de Rosa, mons. Nicola Vigliotti ne curò una riedizione. Nel testo sulla Storia di Telese, che stiamo redigendo, abbiamo, faticosamente, tentato di ampliare le singole biografie ormai decisamente datate.
Questo vescovo è appartenuto alla Congregazione Benedettina di Monte Oliveto (O.S.B. Oliv.) detti anche Olivetani.[1]

Questo Ordine ha ottenuto, nel tempo, un Cardinale, due Arcivescovi e 16 vescovi). Classico ordine monastico maschile di ordinamento Papale confederato con l’Ordine di San Benedetto (Benedettini). Lo troviamo Priore del Monastero di San Michele in Bosco, a Bologna sua città natale, nel quale eserciterà il suo ruolo per soli quattro anni nella media abituale di permanenza di un Priore prima e di un Abbate dopo che era solo di due o tre anni. Eletto a pieni voti come Abate Generale nel 1596, Placido Fava (De Faba o De Fabio), al secolo Ludovico, era nato a Bologna il 16 agosto del 1546. Il padre Costanzo Fava era imparentato con la nobile famiglia, il cui palazzo cittadino fu affrescato alla fine del Cinquecento dalla bottega dei Carracci.[2] La madre era Giustina Razzali.[3]
A soli undici anni Ludovico entrò nel monastero bolognese di San Michele in Bosco, ricevendo l’abito olivetano e distinguendosi per l’altezza dell’ingeno e l’amore allo studio, che lo portò ben presto a ricoprire la carica di Prefetto degli Studi. Insigne predicatore, Placido Fava, fu chiamato a tenere sermoni nelle principali corti italiane, e in particolare a Roma, su invito del Cardinale Odoardo Farnese. Il duca Ottavio Farnese lo volle a Piacenza, Francesco della Rovere a Urbino, Guglielmo Gonzaga a Mantova, il Doge a Venezia. Fu inoltre invitato a Siena e a Pisa dai rispettivi arcivescovi.[4]
Uomo di lettere, amante dell’arte, Ludovico, in rapporto con gli Olivetani da una parte e con i Farnese dall’altra, non dovette restare indifferente alle novità pittoriche introdotte dall’Accademia Carraccesca, di cui doveva aver ben presente le realizzazioni bolognesi il Palazzo Fava, e seguire con interesse quelle romane in Palazzo in Palazzo Farnese. Questa sua capacità organizzative e la passione per l’arte lo renderà uno dei personaggi più noti del suo tempo[5] e nell’ultimo decennio del Cinquecento, alla guida di San Michele in Bosco, pronto a rivoluzionare il monastero non solo dal punto di vista spirituale, ma anche con imprese edilizie e decorative. Di particolare menzione la ristrutturazione del secondo cortile[6] affidata all’architetto Fiorini che creò un nuovo percorso di accesso alla foresteria, ai refettori, dispense di cucina ed ai servizi del Monastero. Il Fava pretese al centro una cisterna decorata in marmo con la figura dell’Arcangelo Michele vincitore sul demonio.
Raccolse inoltre una ricchissima biblioteca presso Monte Oliveto Maggiore, purtroppo distrutta in seguito alle soppressioni.[7]
Desideroso di conferire al Monastero un ruolo assolutamente centrale, fece costruire una strada perché i pellegrini potessero più comodamente raggiungere il luogo e, divenuto abate generale, molto caro a papa Clemente VIII, nel 1598 volle ospitarvi il pontefice in viaggio per Ferrara.
L’interesse del Fava per la cultura umanistica e l’arte è documentato, oltre che dai suoi scritti personali come i Privilegia Sacrae Congregationis Monachorum S. Mariae Montis Oliveti [8] anche dalla commissione a Jacopo Ligozzi della pala con la Natività della Vergine, destinata alla chiesa del Monastero di Monteoliveto Maggiore.[9]
Questa pala ebbe una storia travagliata in quanto il granduca Fernando di Toscana apprezzò a tal punto il dipinto che lo volle per sé, probabilmente per inviarlo in Spagna come dono per il matrimonio dell’infanta Isabella.[10] Il Ligozzi ne confezionò una replica per gli Olivetani, che si trova tuttora sull’altare maggiore.[11]
Placido Fava scrive, il 21 maggio 1599 a Ferdinando I una accorata lettera di ringraziamento per l’invio dell’opera del Ligozzi.[12]
Il sodalizio del Fava con il cardinale di Santa Cecilia fu duraturo, i due religiosi si trovavano, come documentano numerose lettere, insieme a Monteoliveto il 22 aprile 1599, quando il cardinale prese parte ai Comizi Generali solennemente indetti dal Fava, che quello stesso anno, lasciato il ruolo di Abate Generale al termine del suo triennio, fu nuovamente eletto Abate di San Michele in Bosco, carica che non poté tuttavia ricoprire a lungo perché il pontefice lo volle nello stesso 1599 alla guida della diocesi di Castro. Sotto la guida del Cardinale Sfondrati, protettore degli Olivetani, il Fava ospiterà il pittore Guido Reni, che proprio nel suo Monastero terminerà: La visione di Sant’Eustachio.[13]
Questa sua passione per l’arte lo renderà uno dei personaggi e mecenati più noti del suo tempo.[14]
Il pittore era una vecchia conoscenza degli Olivetani, il cui apprezzamento per le nuove leve pittoriche bolognesi è peraltro documentato in quegli anni da tutta la decorazione del monastero bolognese. Dati i rapporti del cardinale con l’Ordine, il patronage del Fava non fu certamente estraneo all’elezione di Guido a pittore di Santa Cecilia. Il Reni giunse a Roma con una copia del Santa Cecilia, un dipinto di Raffaello come biglietto da visita per il «cantiere di Santa Cecilia in Trastevere».[15]
I Cardinali Sfondrati e Giovanni Antonio Facchinetti, all’epoca titolari della romana basilica dei Santi Quattro Coronati, furono i presentatori del Reni a Roma. Il Fava ebbe il ruolo di pagatore dell’opera con cui il pittore bolognese si presentò nella Capitale. Questo pagamento avvenne il 18 dicembre del 1600 ed il compenso dell’opera fu di 150 scudi. Questo ruolo centrale di Fava nella vicenda dimostra lo stretto legame tra l’Abate ed il Cardinale a cui l’Abate era debitore perla speciale dispensa che permise il suo passaggio al generalato (1596), passo decisivo per il successivo ottenimento del vescovado di Castro in Terra d’Otranto nel gennaio del 1600. Il Reni rimase legato agli olivetani bolognesi ed all’Abate Fava al punto che di ritorno a Bologna affrescò per il chiostro di San Michele in Bosco il San Bernardo nella grotta di Subiaco, una pittura purtroppo scomparsa, perché eseguita con l’assai deperibile tecnica dell’olio su muro.[16]
Sempre come protettore di artisti il Fava si distinse nei confronti di Adriano Banchieri[17] uno dei più noti madrigalisti italiani. Questi nella seconda edizione della sua opera didattica l’Organo Suonarino[18] loda l’Ordine Olivetano ed il Monastero dove prese i voti: “…il soave giogo dell’obbedienza nella Religione Olivetana et obligo patticolate ch’io devo vintiquattr’anni sono all’onoratissimo Monastero di S. Michele in Bosco…”, di cui era Abate proprio il Fava. Per poi ringraziarlo personalmente nelle Lettere Armoniche (1628) dove si legge: “…havendomi ella dato l’habito nella Congregatione Olivetana in natione tanto onorata, quant’è la Bolognese, ed aggregato suo figlio spirituale nel tiguardevole Monastero di S. Michele in Bosco…”. Ancora ulteriore ringraziamento in una dedica, datata 1 febbraio 1598), rivolta allo stesso prelato, in occasione della pubblicazione del libro dei Salmi a 5 voci, che vengono definiti dall’autore:”…nati e nodriti sotto il favore della protettione, che diece anni continui, s’è compiaciuta havere di me in ogni occasione…”.[19]

Nel 1595 Niccolò degli Oddi, padovano dell’Accademici Catenati, [21] gli dedicò un’ode dal titolo: In lode al reverendissimo don Placido Fava abate generale della congregazione di Monte Oliveto. [22]
Il 29 aprile del 1596 ottenne una dispensa[23] per la promozione al generalato, passo decisivo verso la promozione a vescovo di Castro, ratificata da Papa Clemente VIII nel 1599. [24]
Divenne vescovo di Castro di Puglia il 19 gennaio del 1600 ed ordinato nel nuovo ruolo il giorno dopo. In attuazione delle decisioni del Concilio di Trento, Placido Fava indisse il primo sinodo diocesano nella storia della diocesi pugliese.[25]
A Telese giunse il 17 novembre del 1604 dove, appena un anno dopo il 19 novembre del 1605,[26] si spense a Monte Oliveto di Napoli dove fu seppellito. Era stato consacrato il 24 febbraio del 1600 in Roma, secondo il Rossi, dal Cardinale Alfonso Paleotto, Arcivescovo di Bologna, nella Chiesa di S. Marta in Vaticano.[27] In realtà il giorno della suo ordinazione vescovile ebbe come consacratore principale il cardinale Ottaviano Paravicini da Sant’Alessio coiaduvato nella consacrazione dai vescovi di Bitetto, Valeriano Muti e quello di Mottola (Motula), Silvestro Tufo.
A Telese dimorò solo nove mesi e secondo l’arciprete di Pietraroia: “…s’intese esser egli buon predicatore, ma non fè dimostrazioni di sua vita, perché morte interpose i suoi mezzi…”.
…che abbia risieduto in diocesi, non ci sono dubbi anche per il fatto che acquistò da Giovan Battista eFlavio De Palmaun ortopresso le mura della città di Cerreto e di fronte al palazzo vescovile che, già in buone condizioni, essendo statocostruito pochi anni prima della ciutata donazione del Mazzacane, era stato reso funzionale da monsignor Savino che…vi aveva preso stabile e comoda dimora….[28]
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[1] La congregazione, sorta presso Siena come comunità eremitica a opera di san Bernardo Tolomei, per volere del vescovo di Arezzo Guido Tarlati passò al cenobitismo sotto la regola di san Benedetto. La congregazione si caratterizzò per la limitazione temporale della carica di abate (gli abati benedettini erano eletti a vita) e per la facilità con cui i monaci potevano trasferirsi da un monastero a un altro (i monaci benedettini erano obbligati dal voto di stabilità a risiedere nel monastero dove avevano professato). Schwaiger G., La vita religiosa dalle origini ai nostri giorni, Milano, San Paolo, 1997
[2] Giovanni Battista di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, Giornale araldico, Pisa, 1886, p. 394.
[3] Scarpini M, I Monaci Benedettini di Monte Oliveto, S. Salvatore Monferrato, 1952, p.201.
[4] Scarpini M, I Monaci Benedettini di Monte Oliveto, S. Salvatore Monferrato, 1952, p.202.
[5] Terzaghi M. C., Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera & Costa, L’Erma di Bretschneider, 2007, pp. 173-174.
[6] “…Quadrangolare lungo piedi 95 e largo piedi 82 si può egli dire il più vecchio di fabbrica…”. Arzo L., Indicazione storico-artistica delle cose spettanti alla villa Legatizia di San Michele in Bosco già Monastero De’ RR PP. Olivetani monumento tra i più celebri suburbani di Bologna, Tipografia Governativa alla Volpe, 1850.
[7] Terzaghi M.C., Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera & Costa, L’Erma di Bretschneider, 2007, pp. 173-174.
[8] Fava P., Privilegia Sacrae Congregationis Monachorum S. Mariae Montis Oliveti, Bologna, presso Giovanni de Rossi, 1580.
[9] 133 Conigliello L., Jacopo Ligozzi pittore e La Verna. In: Altro monte non ha più santo il Mondo, La Verna (Arezzo), 26-28 luglio 2014, Edizioni studi francescani, vol. 4, 2018, pp. 195-207. Cfr.: Thomas G.M., L’Abbaye de Mont-Olivet-Majeur, Firenze, 1883, p. 104-105 e Conigliello L., L’altra faccia di Arcimboldo, Paragone Arte, vol. XLIII, 1992, pp. 33 e 44, nota 134. “…Il Ligozzi riceve 50 scudi a conto di una tavola grande che fa…”. A.S.F., Guardaroba Medicea 214, c 22r., stessa notizia nella filza 212, c. 6s.
[10] Lettera del 3 maggio 1599 inviata dall’abate Placido Fava al granduca Ferdinando, Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato, 891, c. 14. Cfr.: Conigliello L., Jacopo Liggozzi, le vedute del sacro monte della Verna: i dipinti di Poppi e Bibbiena, Comune di Poppi, Edizione della Biblioteca Comunale Rillana, 1992.
[11] Conigliello L., L’altra faccia di Arcimboldo, Paragone Arte, vol. XLIII, 1992, pp. 33 e 44, nota 137.
[12] A.S.F., Mediceo del Principato, 89l, c, 14.
[13] Guido Reni, Visione di Sant’Eustachio, Genova, già collezione Durazzo Pallavicini.
[14] Terzaghi M. C., Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera & Costa, L’Erma di Bretschneider, 2007, pp. 173-174.
[15] Terzaghi M. C., Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera & Costa, L’Erma di Bretschneider, 2007, p. 132.
[16] Gallo G., Principi di Santa Romana Chiesa. I Cardinali e l’Arte, Ed. Cangemi, 2015. Cfr.: Antonio di Paolo Masini, Bologna perlustrata, in cui si fa mentione ogni giorno, 1650, p. 694.
[17] Adriano Banchieri, nato Tommaso Banchieri (Bologna, 3 settembre 1568-1634), è stato un musicista, compositore, poeta e monaco italiano del tardo Rinascimento e dell’inizio dell’era barocca. Noto anche come Adriano da Bologna e con gli pseudonimi: Attabalibba dal Perù, Camillo Scaligeri della Fratta e il Dissonante. Egli entrò nell’Ordine Benedettino Olivetano nel monastero di S. Michele in Bosco
a Bologna nel 1587; l’ingresso ufficiale avvenne poco più tardi (8 settembre 1589) quando fu accettato come novizio con la cerimonia della vestizione e dell’imposizione del nuovo nome. La solenne professione dei voti monastici ebbe luogo il 16 settembre 1590s. Zotti C., Le sourire du moine: Adriano Banchieri bolonais, musicien, homme de lettres pédagogue, équilibriste sur le fil des querelles du seicento, Serre, Nice, 2009.
[18] L’Organo Suonarino, Edizione di Ricciardo Amadino, Venezia, 1605.
[19] Lorenzi E., Il Monastero di San Michele in Bosco e l’Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Pendragon, 2006. Cfr.: Mischiati O., Gli antichi organi della Provincia e dell’Arcidiocesi di Bologna, Regesto, in: L’organo, Rivista di cultura organaria e organistica, Bologna, Patron, 2008 (XL), pp. 5-365.
[20] Vogli G.G., Tavole cronologiche degli uomini illustri per lettere, e impieghi nudriti dall’Università di Bologna, o usciti della medesima dal principio del passato secolo in quà. Ad uso di chi volesse scrivere la storia di detta Università compilate dal dottore Gio. Giacinto Vogli, 1726.
[21] Bertinelli G. A., Catalogo delle opere antiche e moderne Italiane e forestiere che sono vendibili nella libreria di Giovanni Gallarini librajo bibliografo in Roma, 1856, p.403
[22] Saggio di bibliografia della poesia religiosa (1471-1600), disp.let.uniroma1.it,
[23] Rivista Storica Benedettina, Vol. 11-12, Ed. Santa Maria Nova, 1916
[24] Campanini M. S., Il chiostro dei Carracci a San Michele in Bosco, Collana Rapporti, n° 71, Nuova Alfa Editoriale, 1993; Cfr.: Ludovico Carracci. A cura di Andrea Emiliani. Con scritti di Maria Silvia Campanini, Gail Feigenbaum, Sydeny J. Freedberg, Giovanna Perini, Anna Stanzani, Bologna, Nuova Alfa Editoriale,1992, p.184.
[25] Luigi Maggiulli, Castro. Monografia, Galatina, 1896, p. 166.
[26] Altri indicano la data del 14 settembre del 1605.
[27] Rossi G., Catalogo de’ Vescovi di Telese.
[28] Pescitelli R.,Chiesa Telesina, Tipografia Auxiliatrix, Benevento,1979, p. 45.