
In un vecchio e polveroso libro dell’Ottocento, ho ritrovato un foglietto ripiegato in quattro e gelosamente conservato dal proprietario, che conteneva il “segreto” per guarire dalla Quartana, una febbre pericolosa, così definita perché compariva ogni quattro giorni. All’epoca la medicina era piuttosto personalistica e i medici tendevano a non divulgare le terapie che praticavano ai loro pazienti. Assomigliavano più a maghi o a stregoni ed i concetti di medicina condivisa, linee guida e protocolli terapeutici, erano ancora al di là da venire:


Segreto per togliere la Quartana
Si prende foligine di ciminiera di quella fina, salvia, sale e gragnatela egualmente fina di quantità che basti a reducersi in pasta sua mediante il bianco di un’ovo, prima però pistata ben bene la suddetta robba ed indi si farà la pasta. Un’ora più tardi che dovrà venire la febbre si applica detta pasta alli polsi nella via delle arterie ben ligata e si farà stare fino all’altro giorno che dovrebbe ritornare detta febbre ed un’ora prima si toglie e si deve ponere l’altra nuova e si replicherà per tre o quattro volte dell’istessa maniera.
Il documento, privo di data ed indirizzato a tal Benjamino Cassella di Cusano, è particolarmente interessante in quanto testimonia la modalità con cui venivano curate le più comuni malattie che causavano la febbre, evenienza all’epoca particolarmente pericolosa.
All’epoca, la febbre quartana era tipica della malaria, una malattia particolarmente diffusa e abbastanza temuta dalla popolazione perché altamente contagiosa e, spesso, mortale.
La malattia era provocata da un protozoo parassita detto plasmodio (plasmodium),1Il termine plasmodio deriva dal lat. plasma, luogo in cui il parassita si riproduce. che vive e si riproduce nel sangue umano in quello di alcune zanzare appartenenti al genere anopheles. Il contagio avviene proprio per la puntura di zanzara, motivo per cui la malattia è stata sempre associata alla presenza delle paludi, dove abbondano questi insetti. La parola fu coniata a Venezia nel 1571 e deriva da mal’aria, ovvero aria malsana e corrotta.
Oggi la malaria è praticamente scomparsa nella nostra società perché efficacemente debellata. Persiste solo in alcune aree del Sud America, nell’Africa sub-sahariana e nei paesi della fascia tropicale e sub tropicale.
La febbre quartana è tipica della malaria ed è così definita poiché, come si è detto, il picco febbrile compariva ogni quattro giorni (si distingueva perciò dalla febbre “terzana”, che si presentava ogni tre giorni). La crisi febbrile era provocata dalla rottura dei globuli rossi, dovuta alla replicazione del plasmodio che si riproduce al loro interno.
È una febbre particolarmente elevata, ad esordio improvviso ed è accompagnata nella prima fase da brividi, freddo intenso e dolori muscolari (stadio del brivido); dura un paio di ore ed è seguita dall’aumento della temperatura corporea (fase del calore) che può raggiungere 40-41°C.
In questa fase possono comparire anche manifestazioni neurologiche (deliri). La fase successiva (fase della sudorazione) è accompagnata da profusa sudorazione e sfebbramento.
Secondo la medicina ippocratica, le febbri intermittenti erano causate dall’aria cattiva e dall’acqua putrida delle paludi che producevano miasmi in grado di colpire coloro che vivevano intorno a queste aree a rischio.

La malaria era conosciuta fin dall’antichità. Testi in uso presso i Sumeri ed Egizi (3500 – 4000 anni fa) riportano casi di vere e proprie epidemie mortali di febbre; nella medicina greca, la febbre intermittente fu oggetto approfondito di studi. Ippocrate descrisse accuratamente le febbri intermittenti, terzane e quartane e, secondo la scuola ippocratica, esse erano causate dall’aria cattiva e dall’acqua putrida delle paludi che producevano miasmi in grado di colpire coloro che vivevano intorno a queste aree a rischio. Nell’antica Roma la malattia venne denominata “febbre palustre” in quanto associata alla presenza di paludi. Marco Terenzio Varrone, nel De Rustica, segnalava il pericolo di vivere nei pressi delle paludi.
Il meccanismo di trasmissione della malaria fu scoperto nel 1902 dal britannico Roland Ross (1857-1932) che ottenne, per questo motivo, il premio Nobel per la medicina.
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[1] Il termine plasmodio deriva dal lat. plasma, luogo in cui il parassita si riproduce.
Bibliografia:
G. Penso, Parassiti, microbi e contagi nella storia dell’Umanità, Ciba-Gaigy Edizioni, Milano, 1990.