Nella legislazione italiana il confino politico, ovvero il domicilio coatto degli oppositori, non è un istituto di recente introduzione. L’idea di istituire una misura di isolamento per avversari politici ed oppositori al regime, vede la sua origine nella famigerata legge Pica, risalente agli albori dell’Unità d’Italia.
Promulgata ufficialmente il 15 agosto 1863, la legge n. 1409, promossa dal deputato abruzzese Giuseppe Pica1Giuseppe Pica (1813-1887) Deputato e patriota. Si laureò in legge a Napoli ed esercitò la professione forense. Per le sue opinioni liberali, venne arrestato nel 1845, ma, dopo otto mesi di prigionia, venne rimesso in libertà. Dopo la concessione della Costituzione, fu deputato dell’Aquila nel Parlamento napoletano. A seguito della reazione del 1849, fu sottoposto a processo e condannato a 26 anni, condanna che espiò nei bagni penali di Procida, Montefusco e Montesarchio con Carlo Poerio e Luigi Settembrini. Graziato nel gennaio 1859, scontò l’esilio a Londra. Con l’Unità d’Italia approdò al Parlamento del Regno e legò il suo nome alla famosa legge del 1863, che ebbe un ruolo importante nello sgominare il brigantaggio nelle provincie meridionali. La nomina a senatore, ottenuta nel novembre 1873, chiuse la sua carriera politica., fu concepita come strumento eccezionale e temporaneo per contrastare il brigantaggio nelle province meridionali ma il suo impiego, nel corso degli anni, si estese ad una più ampia gamma di oppositori politici.2Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un periodo di tempo non maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la definizione del Codice penale, non che ai camorristi e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di due Consiglieri provinciali». Legge n. 1409 del 15 agosto 1863, art. 5.

In verità, la legge Pica, nella sua prima formulazione, fu mutuata dall’art. 91 della legge di Pubblica Sicurezza del Regno di Sardegna del 13 novembre 1859, n. 3720. Quest’ultima concedeva al titolare della prefettura – chiamato governatore – la facoltà di «negare all’ozioso o vagabondo l’autorizzazione a stabilire domicilio nella città ed altri luoghi da lui scelti» se ciò risultava in conflitto col mantenimento dell’ordine pubblico.3G. Grassi, R. Brucoli, Da Terlizzi a Ventotene, isola di confino, Ed. Insieme, Bari, 2011, p. 16.

La misura del domicilio coatto, introdotta con la legge Pica, venne successivamente perfezionata con la legge Lanza4Giovanni Lanza (1810-1882) Medico, proprietario terriero, volontario nel 1848, si dedicò alla politica, fino a diventare vicepresidente del Parlamento Subalpino nel 1852. Nominato da Cavour ministro dell’Istruzione nel 1855, divenne successivamente Presidente della Camera e Presidente del Consiglio dal 1869 al 1873. del 1865 (legge n. 2248 del 20 marzo 1865). Il provvedimento legislativo di Giovanni Lanza, ministro dell’Interno del governo La Marmora, fu definitivamente sistematizzato nel Testo Unico di pubblica sicurezza n. 153 del 30 giugno 1889.

Nel 1894, in seguito ad una serie di agitazioni sociali, dei moti di Lunigiana e dell’attentato contro Francesco Crispi, all’epoca Presidente del Consiglio, fu varata la legge n. 316 del 19 luglio 1894 che si propose di inasprire le pene contenute nella precedente normativa, snellire le procedure per l’invio al confino di soggetti pericolosi e decretò un incremento della la durata del domicilio coatto da uno a cinque anni.

Ma fu con l’avvento del fascismo che l’istituto del confinamento politico ebbe la sua massima applicazione. Esso venne formalmente introdotto con le cosiddette leggi fascistissime, un termine che identifica una serie di norme giuridiche emanate tra il 1925 e il 1926, che sancirono la trasformazione dell’ordinamento giuridico del Regno d’Italia nel regime fascista. Esse affermavano la supremazia del potere esecutivo sul potere legislativo e stabilivano l’abolizione dei partiti politici di opposizione, delle libertà di stampa e di associazione. Decretarono inoltre l’istituzione di uno speciale Tribunale per la Difesa dello Stato, utilizzato per emarginare gli oppositori politici5Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato fu un organo speciale del regime fascista competente a giudicare i reati contro la sicurezza dello Stato e del regime, istituito con la legge n. 2008 del 25 novembre 1926.

Il nuovo testo, opera del ministro dell’Interno Luigi Federzoni, (legge n. 1848 del 6 novembre 1926), superò la precedente normativa sul domicilio coatto (legge 6144 del 30 giugno 1889) ed istituì il confino politico per gli oppositori, detto confino di polizia: un provvedimento esplicitamente pensato per colpire in maniera preventiva coloro che erano ritenuti predisposti o sospetti all’attività politica. Con questa stessa legge, oltre ad istituire il Tribunale speciale (con competenza sui reati contro la sicurezza dello Stato ed un collegio giudicante formato da membri della polizia volontaria per la sicurezza nazionale e delle Forze Armate) si decretò la nascita dell’OVRA, una polizia segreta del regime, che aveva compiti di vigilanza e repressione di organizzazioni sovversive e che divenne operativa a partire dal 1927.6L’acronimo, non del tutto chiaro, dovrebbe significare “opera vigilanza repressione antifascismo”; consisteva in uno speciale organismo che raggruppava tutti i servizi di polizia politica, con una competenza territoriale più vasta e con poteri più ampi rispetto a quelli delle Questure. Cfr.: Ovra in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.

Il confino di polizia, giustificato dal regime come misura preventiva di ordine pubblico, divenne il più efficace tra i mezzi adottati dalla macchina della repressione fascista per combattere il dissenso politico. 
La nuova normativa fascista prevedeva l’istituzione di apposite Commissioni provinciali, composte dal Prefetto, dal Questore, dal Comandante dei Carabinieri e da un ufficiale della milizia che deliberavano l’allontanamento e l’assegnazione al domicilio coatto di persone considerate pericolose (il confino poteva durare da uno a cinque anni, prorogabili) in modo da creare una separazione materiale e psicologica tra oppositori al regime e società civile. La decisione dunque, non scaturiva dallo svolgimento di un regolare processo con conseguente sentenza di un tribunale ma era, più semplicemente, la conclusione di una decisione autonoma di questa Commissione, che aveva il potere di decidere in maniera del tutto arbitraria.

Gruppo di antifascisti al confino. Gli ultimi due a destra sono Ferruccio Parri e Carlo Rosselli

Col passar degli anni, l’istituto giuridico del confino, subì ulteriori modificazioni e venne ulteriormente disciplinato nel 1931, con la promulgazione del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza:

Possono essere assegnati al confino di polizia, coloro che svolgono o abbiano manifestato il proposito di svolgere un’attività rivolta a sovvertire violentemente gli ordinamenti politici, economici o sociali costituiti nello Stato o a contrastare o a ostacolare l’azione dei poteri dello Stato.

Venne introdotto l’obbligo del lavoro per i confinati, che dovevano rispettare rigidi orari per l’uscita ed il rientro nella propria abitazione ed avevano il divieto tassativo di frequentare esercizi pubblici, luoghi di ritrovo e di creare assembramento con gli abitanti del luogo.7M. Franzinelli, Confino di polizia in Dizionario del Fascismo a cura di V. de Grazia e S. Luzzatto, Torino, Einaudi, 2003.
Mediante l’istituto del confino, il regime fascista non isolò solo gli avversari politici, ma anche intellettuali e docenti universitari che rifiutavano di giurare fedeltà al fascismo, giornalisti e scrittori critici verso il regime, semplici oppositori che venivano genericamente additati come antifascisti, esponenti delle minoranze etniche e religiose e, dopo l’introduzione della legislazione razziale del 1938, anche gli omosessuali, definiti in maniera dispregiativa pederasti, accusati di «attentato alla dignità della razza» e pertanto ritenuti pericolosi per la morale pubblica.
Il più delle volte, il confino di polizia veniva applicato come una misura preventiva, e non punitiva, per un reato che poteva essere utilizzato come strumento per il mantenimento dell’ordine pubblico. Il provvedimento era più grave della semplice ammonizione, una sanzione che prevedeva solo l’obbligo di rendere conto – talvolta quotidianamente – della propria presenza alle autorità di pubblica sicurezza, ma certamente meno grave di una pena detentiva poiché consentiva al condannato di conservare, sia pure nei limiti stabiliti e con alcune limitazioni, la libertà personale.
Tuttavia, per finire al confino bastava veramente poco: partecipare al funerale di un amico comunista, deporre fiori sulla tomba di un antifascista, screditare il regime anche semplicemente con il racconto di storielle sul fascismo o sul duce, leggere libri ritenuti sovversivi, cantare inni considerati rivoluzionari (anche in abitazioni private), festeggiare il primo maggio ecc.

L’assegnazione al confino avveniva con procedure sommarie ed in maniera sollecita: bastava che la polizia segnalasse un soggetto come “pericoloso” e la Commissione Provinciale di Pubblica Sicurezza poteva deliberare il domicilio coatto, senza ulteriori accertamenti e senza tener conto delle considerazioni dell’imputato. L’individuo veniva deportato, senza alcuna possibilità di difesa, in una località indicata dalla Commissione – abitualmente in villaggi o borghi lontani dalle grandi città, oppure in isole remote e difficilmente raggiungibili – dove potevano essere costantemente sorvegliati e dove era difficile, per i detenuti, comunicare con l’esterno.
Le zone maggiormente utilizzate erano quelle dell’Italia meridionale, perché economicamente depresse e più difficili da raggiungere. Si preferivano, inoltre, le piccole isole che garantivano una maggiore sicurezza.

Gian Maria Volonté nel film: Cristo si è fermato a Eboli, ispirato all’esperienza di Carlo Levi

Le aree interne maggiormente utilizzate furono quelle della Lucania: Matera, Grassano, Aliano; della Calabria: Gerace e Pizzo Calabro e della Sardegna: Fonni, Orune, Sorgono.

Molte furono le isole interessate come località di confino: Ustica, Ponza, Ventotene, Lipari, Lampedusa, Isole Tremiti.
Le zone del Sud venivano usate molto spesso, perché economicamente depresse e difficili da raggiungere.
Le condizioni di vita dei confinati variavano in base alla località, ma generalmente erano molto dure: i confinati percepivano un’indennità, detta mazzetta, che inizialmente era di 5 lire al giorno ma che, con la crisi del ’29, venne ridotta a 4 e, in alcuni casi, a 3 lire. Non potevano in alcun modo lasciare l’isola o il paese assegnato; erano sottoposti a controlli giornalieri e dovevano presentarsi regolarmente alle autorità. Per loro, le possibilità di lavoro erano estremamente ridotte, per cui spesso vivevano in condizioni di estrema povertà.
Le comunicazioni con l’esterno risultavano particolarmente complicate le comunicazioni con la famiglia di origine erano sottoposte ad una ferrea censura sulla corrispondenza. Ovviamente gli antifascisti più influenti erano i più sorvegliati.

Dopo l’entrata dell’Italia in guerra, il confino fu esteso a ebrei, dissidenti interni, omosessuali. 
Dal 1927 al 1943 la misura del confino politico fu inflitta a 12.330 oppositori politici, 177 dei quali morirono durante il periodo di isolamento. Con la caduta del fascismo il confino fu abolito e molti ex confinati divennero protagonisti della nascita della Repubblica Italiana.

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NOTE:
[1] Giuseppe Pica (1813-1887) Deputato e patriota. Si laureò in legge a Napoli ed esercitò la professione forense. Per le sue opinioni liberali, venne arrestato nel 1845, ma, dopo otto mesi di prigionia, venne rimesso in libertà. Dopo la concessione della Costituzione, fu deputato dell’Aquila nel Parlamento napoletano. A seguito della reazione del 1849, fu sottoposto a processo e condannato a 26 anni, condanna che espiò nei bagni penali di Procida, Montefusco e Montesarchio con Carlo Poerio e Luigi Settembrini. Graziato nel gennaio 1859, scontò l’esilio a Londra. Con l’Unità d’Italia approdò al Parlamento del Regno e legò il suo nome alla famosa legge del 1863, che ebbe un ruolo importante nello sgominare il brigantaggio nelle provincie meridionali. La nomina a senatore, ottenuta nel novembre 1873, chiuse la sua carriera politica.
[2] «Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un periodo di tempo non maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la definizione del Codice penale, non che ai camorristi e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di due Consiglieri provinciali». Legge n. 1409 del 15 agosto 1863, art. 5.
[3] G. Grassi, R. Brucoli, Da Terlizzi a Ventotene, isola di confino, Ed. Insieme, Bari, 2011, p. 16.
[4] Giovanni Lanza (1810-1882) Medico, proprietario terriero, volontario nel 1848, si dedicò alla politica, fino a diventare vicepresidente del Parlamento Subalpino nel 1852. Nominato da Cavour ministro dell’Istruzione nel 1855, divenne successivamente Presidente della Camera e Presidente del Consiglio dal 1869 al 1873.
[5] Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato fu un organo speciale del regime fascista competente a giudicare i reati contro la sicurezza dello Stato e del regime, istituito con la legge n. 2008 del 25 novembre 1926.
[6] L’acronimo, non del tutto chiaro, dovrebbe significare “opera vigilanza repressione antifascismo”; consisteva in uno speciale organismo che raggruppava tutti i servizi di polizia politica, con una competenza territoriale più vasta e con poteri più ampi rispetto a quelli delle Questure. Cfr.: Ovra in Enciclopedia italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
[7] M. Franzinelli, Confino di polizia in Dizionario del Fascismo a cura di V. de Grazia e S. Luzzatto, Torino, Einaudi, 2003.



Emilio Bove

Medico e scrittore. Ha all’attivo numerose pubblicazioni tra cui una Vita di San Leucio, dal titolo «Il lungo viaggio del beato Leucio», edita nel 2000. Ha pubblicato nel 1990 «San Salvatore Telesino: da Casale a Comune» in cui ripercorre l’evoluzione del suo paese dalla nascita fino alla istituzione del Comune. Ha scritto il romanzo-storico «L’Ultima notte di Bedò», vincitore del Premio Nazionale Olmo 2009 che narra la storia di un eccidio nazista perpetrato nell’ottobre 1943. Nel 2014 ha dato alle stampe la storia della Parrocchiale di Santa Maria Assunta con la cronotassi dei parroci. È autore di un saggio sulla storia della depressione dal titolo: «Il potere misterioso della bile nera, breve storia della depressione da Ippocrate a Charlie Brown». Ha partecipato al volume "Dieci Medici Raccontano", vincitore del Premio Letterario Lucio Rufolo 2019. Nel 2021 ha dato alle stampe «Politica e affari nell'Italia del Risorgimento. Lo scontro in Valle telesina. Personaggi e vicende (1860-1882)». Nel 2024 ha pubblicato i saggi «Fu la peste: maghi, ciarlatani, taumaturghi, guaritori. Epidemie in Italia e nel Sannio» e «Islam a Telesia, le incursioni arabe e saracene nel Sannio longobardo» editi da ABE Napoli. Collabora con numerose riviste di storia. Presidente dell’Istituto Storico Sannio Telesino è Direttore Editoriale della Casa editrice Fioridizucca.