«Santu Vitu Santu Vitu
ju tri voti vi lu dicu
vi lu dicu pi ssu lòbbiru (cane)
ca mi voli muzzicari
attaccàtici lu mussu cu nu muccaturi russu
attaccàtici lu ciancu
cu nu muccaturi jancu!»

Così recita una antica preghiera sicula contro i morsi del cane. Una leggenda devozionale racconta che San Vito  avrebbe incontrato dei pastori disperati perché alcuni cani avevano sbranato un bambino; allora il Santo, richiamati i cani, si sarebbe fatto restituire da essi i resti del corpo del bambino a cui avrebbe ridato la vita. Questa è solo uno dei tanti racconti che compongono la passio sancti Vitii. San Vito è divenuto, nel corso dei secoli, uno dei santi maggiormente invocati per la liberazione e la protezione dalle più disparate forme di agitazione psico-motoria e più in generale per la guarigione di corpo e anima. Pur trattandosi di un patronato di cui non è semplice rintracciare la genesi sul piano storico-agiografico, qualche elemento in tal senso sembra potersi già cogliere nella caratterizzazione esorcistica di san Vito, cui fa riferimento l’anonima passio del VI-VII secolo a lui dedicato. Vito Lucano, infatti, avrebbe esorcizzato il  figlio dell’imperatore Diocleziano1Note sui “balli” di san Vito: danze, riti e luoghi del culto, in L. Carnevale (a cura di), Spazi e luoghi sacri. Espressioni ed esperienze di vissuto religioso, Bari 2017, pp. 211-226. I movimenti corporali convulsi e i fenomeni di agitazione parossistici, sono stati intesi dai cristiani come segni tangibili della presenza del Maligno, che si impossessa dell’eccitare in giudizio delle vittime, scuotendone i corpi alla maniera frenetica dei danzatori e delle danzatrici (pagani) di Bacco2L. Canetti, La danza dei posseduti, in ‘Il Diavolo nel Medioevo’, Atti del XLIX Convegno storico internazionale del Centro Italiano di Studi sul Basso Medioevo-Accademia Tudertina (Todi, 14-17 ottobre2012), Spoleto 2013, 553-604.

 Nel Martirologio Geronimiano3Il Martirologio geronimiano o gerolimiano (Martyrologium Hieronymianum) costituisce il più antico catalogo di martiri cristiani della Chiesa latina pervenuto: deve il suo nome al fatto di essere stato a torto attribuito a san Gerolamo, il Santo è commemorato il 15 giugno, un dato emblematico in quanto vicino al solstizio d’estate e ricadente nel periodo del raccolto che rappresenta una fase di “passaggio” celebrata da tutte le culture umane, attraverso riti spesso legati a manifestazioni coreutico-musicali. In Campania Vito arriva dalla Sicilia. Secondo la sua agiografia sbarca sulla foce del Sele. Da lì, dopo il suo martirio, il culto di Vito diviene sempre più presente tra Campania e Lucania. Forte, ancora oggi è la devozioni che molti luoghi dell’entroterra campano hanno per il santo. Il luogo più vicino alla nostra valle telesina in cui si festeggia Vito Lucano, è la zona di Capua, Pignataro Maggiore, Vitulazio. Non è un caso che questi luoghi appena citati siano bagnati dal fiume Volturno. Un fiume, il Sele, per un fiume, il Volturno, ancora presenti nella storia di Vito e del suo viaggio. È sicuramente tramite il fiume Volturno, che il culto arriva in Valle telesina ed in particolare a  Frasso Telesino, dove sulla collina a Vito intitolata, sorge l’omonima cappella. Altro fattore, tutt’altro che secondario, è il viaggio della transumanza che i pastori facevano (e fanno) dalla pianura verso l’Appennino. Frasso, come l’intera valle telesina, è punto strategico da sempre e ad una attenta analisi geografica, risulta come tappa intermedia per eccellenza di un ipotetico viaggio, dalle pianure casertane ai monti appenninici.
Una descrizione pressochè completa della  chiesetta di Frasso Telesino ce le fornisce il Canonico Pietro Fusco (1810-1879) che così scriveva: 

«Questa chiesa è situata sopra una vasta pianura di un quarto di miglio non lontano da Frasso di ius patronato del Collegio.  Essa è cinta dintorno da un muro quadrato, ma diruto, ed a costo di essa cevi un giardino bastantemente grande. Dentro questo muro vi si scorge una cisterna. Attacca colla detta Chiesa un compresso di case composto di due stanze superiori, a queste vi si accede mediante una scalinata di fabbrica, e due sottane e mette per abitazione del romito(eremita). Ha una campana, la quale fu benedetta da Mons. Albini, patrizio beneventano e Vescovo di S. Agata de’ Goti il di 13 giugno 1706 e fece da maestro delle sacre cerimonie il canonico Sig. D’Andrea Lucio di S. Agata. In essa chiesa vi sono cinque altari, cioè il primo della Madonna della Libera, il secondo di S.Vito, il terzo di S.Eligio, il quarto dei SS. Cosma e Damiano ed il quinto finalmente di S.Maria del Popolo. In questa Chiesa vi si cantano annue messe tre dal Collegio, cioè una nella terza festa di Pasqua di Resurrezione, ossia martedì in albis, nell’altare di S. Vito. La seconda nella terza festa di Pentecoste nell’altare di S. Maria del Popolo e la terza finalmente nella festa di S.Vito il 15 giugno nell’altare di S. Vito».

San Vito – attualmente di proprietà comunale, ma precedentemente appartenuta alla Collegiata del SS. Corpo di Cristo – ha dato il nome anche alla località nella quale è ubicata e, molto probabilmente la sua fondazione risale al XVII secolo. La facciata estremamente lineare – vi si aprono un’unica porta con sovrastante oculo – è scandita ai lati da paraste e superiormente  è conclusa  da un timpano triangolare; l’elemento naif di questa chiesetta  è quel  coronamento curvilineo posto al di sopra del timpano che, interrompendo  la regolarità dell’insieme,  le dà il carattere di architettura spontanea.
Nel timpano  è inserito un pannello con i miracoli di san Vito, composto di 20 riggiole maiolicate; questo pannello reca al centro l’immagine del Santo ed ai lati sei scene rappresentanti i suoi miracoli: uomini e donne  aggrediti da cani, forse in preda  alla rabbia oppure cani molto probabilmente guariti da questa malattia per intercessione del Santo. Superiormente l’immagine di San Vito è sormontata dal simbolo  dell’eterno (l’occhio inserito nel triangolo) mentre inferiormente  una corona regale contiene due palme simbolo del martirio. Uno dei maggiori esperti di ceramica campana, Guido Donatone, nativo di Airola, ha pubblicato questo pannello  nel volume Maiolica popolare Campana, edito dal Banco di Napoli nel 1976 e curato dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Il Donatone attribuisce il pannello alle Fabbriche di Cerreto, datandolo agli inizi del XIX secolo.  Un modesto campanile, di forma quadrangolare  con  una  guglia a pera, completa l’aspetto esterno di questa graziosa architettura “casareccia”. Mentre sulla facciata esterna e su quelle laterali la chiesa è discretamente conservata, notevoli sono, nella parte posteriore,  i segni del degrado e dell’incuria: quella che era l’abitazione del romito – le due stanze superiori e quelle inferiori – è diruta, così come la scala esterna di accesso, quasi impraticabile per la folta vegetazione che  via via sta  divorando e sconnettendo la muratura. Il programma iconologico di questa chiesetta doveva essere quasi tutto ispirato ai santi taumaturghe o connessi alla cultura contadina, ma dei cinque altari descritti dal Fusco ne restano solo tre: quello dei santi Cosma e Damiano, quello di san Vito ed un terzo,  dove il  culto originario è stato sostituito con quello di san Pasquale.4San Vito, una chiesa da salvare, di Giuseppe Lala. da Ezioflammia.com, http://web.tiscali.it/restauroantico/san_vito.htm

Icona di San Vito martire

Un po’ di cose sono cambiate dalla descrizione di metà ‘800 del Fusco. Purtroppo le bellissime maioliche sono state rubate qualche anno fa e l’unico culto ancora presente è quello dei Santi Cosma e Damiano.  Attenta e giusta è la riflessione del canonico Fusco: «Il programma iconologico di questa chiesetta doveva essere quasi tutto ispirato ai santi taumaturghi o connessi alla cultura contadina». Non è ovviamente un caso che all’interno della chiesa di San Vito, curatore di corpo e spirito, vi siano finiti i Santi taumaturghi  per eccellenza: Cosma e Damiano. Ancora oggi a Frasso Telesino forte è la devozione del popolo verso coloro i quali il popolo frassese chiama «i Santarielli». La chiesa di San Vito custodisce protesi e offerte votive di ogni genere.  Da una parte Vito scaccia il demonio, dall’altra Cosma e Damiano curano il corpo. Il culto di Vito è stato sostituito in toto, non essendoci nemmeno più una statua nella chiesetta a lui dedicata ma “sostituito” in un perfetto sincretismo dai ‘santarielli’. Appena varcata la soglia della cappella, troviamo quindi l’altare dedicato ai  santi Cosma e Damiano, parimenti venerati nell’Oriente e nell’Occidente cristiani, detti gli Anargiri (in greco, “senza argento“) per la  buona abitudine di prestare la loro opera di medici senza chiedere compenso alcuno. I  poteri risanatori di questi due santi hanno per secoli affascinato uomini e donne, sia che si trattasse di contadini, come quelli che li pregavano per la buona salute del bestiame, che medici chirurghi che già dal medioevo fondarono confraternite sotto la loro protezione.  Un gustoso episodio, legato ai miracoli di questi due santi,  ci è  raccontato da Jacopo da Varagine:  papa Felice, avolo di san Gregorio fece costruire in Roma una magnifica chiesa in onore dei santi Cosma e Damiano; in questa chiesa si trovava un servitore dei santi martiri al quale un cancro aveva divorato tutta la gamba. Durante il sonno gli apparvero i santi Cosma e Damiano i quali dopo un breve consulto decisero di prelevare dal cimitero di san Pietro in Vincoli la gamba di un etiopico appena sepolto al fine di sostituirla con quella malata. L’operazione riuscì perfettamente: svegliatosi durante la notte e non sentendo alcun dolore, capì dell’avvenuto miracolo e corse subito al cimitero ove trovò la gamba del moro tagliata e quella sua posta nella stessa tomba.5Op. cit.

A Frasso Telesino, ad inserirsi in questa complessità simbolica c’è l’esorcista per eccellenza, l’archistratega, ovvero il principe della milizia celeste: Michahel. Già molto si è parlato da queste pagine, con lavori eccellenti di amici e colleghi, dell’Arcangelo e non ci soffermeremo qui sul culto micaelico a Frasso Telesino.6Selvaggio M., Bove E., Il culto micaelico in rupe nel Sannio Telesino (con contributi di R. Cangiano, G. Corbo, L. D’Amico, N. Ciervo, W. Mattei, G. Maturo, A. Martone), Istituto Storico del Sannio Telesino, 2022 Un breve cenno nel nostro discorso merita l’eremo su Monte San Angelo. Li c’è la grotta sacra, propria del culto micaelico. La grotta è un archetipo universale ed evoca, tra le numerose valenze indicano dagli studiosi, anche il confitto tra Dio e il diavolo, come ha rilevato, per esempio, Cosimo Damiano Fonseca: «la contrapposizione dialettica tra Dio e Satana emerge con maggiore chiarezza ed evidenza quando lo spazio fisico da destinare al culto di Dio è una grotta che di per sé si carica di significati di negatività, quali appunto l’assenza della luce, l’angusia spaziale, la capacità mimetica: risulta allora del tutto naturale associare la grotta al ricettacolo di forze demoniache». Altra pratica rituale inerente al nostro discorso è quella dell’incubatio. L’incubazione è una pratica magico-religiosa che consiste nel dormire in un’area sacra allo scopo di sperimentare in sogno rivelazioni sul futuro oppure di ricevere cure o benedizioni di vario tipo. Questo rito è stato associato per secoli al culto micaelico e sicuramente anche a Frasso Telesino qualche longobardo della prima ora avrà potuto sperimentarlo…
Non andremo oltre, qui piuttosto si vuole sottolineare la straordinaria realtà storico-religiosa presente nella Terrae Fraxi. San Vito, Santi Cosma e Damiano e San Michele: tutti “impegnati” alla cura del corpo, dell’anima ma più in generale al benessere psico-fisico di abitanti e fedeli. Dunque, in questa nostra Terra di Mezzo la cura della persona ha avuto da sempre un valore centrale. Basti pensare anche alle storiche terme romane di Telesia che tra terremoti e abbandoni, nel 1861 il cavaliere Achille Jacobelli di San Lupo, sfruttando la particolarità dell’acqua del territorio, riprese il complesso romano, fondando quelle che oggi vengono denominate le Antiche Terme Jacobelli.
Inaugurate nel 1867 il complesso termale, fu concepito per essere concorrenziale a quello Provinciale, ma le finanze della famiglia Jacobelli cominciarono a scarseggiare e la struttura fu ceduta. Nel 1871 il complesso fu gestito da Filippo Capuano di Cerreto Sannita per poi essere acquistato nel 1875 dal cavaliere Eduardo Minieri di Napoli7https://prolocotelesia.wordpress.com/antiche-terme-jacobelli/. Ancora oggi le acque curative della zona confluiscono in un complesso termale nel centro di Telese Terme che accoglie annualmente migliaia di persone in cerca di cure, refrigerio e relax.  
Anche se leggermente defilato, posto a guardia della Valle tra il S. Angelo e il Taburnum, Frasso Telesino riconferma ancora oggi il suo centrale ruolo nel panorama storico-religioso della Valle Telesina.

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[1] Note sui “balli” di san Vito: danze, riti e luoghi del culto in L. Carnevale (a cura di), Spazi e luoghi sacri. Espressioni ed esperienze di vissuto religioso, Bari 2017, pp. 211-226.
[2] L. Canetti, La danza dei posseduti, in ‘Il Diavolo nel Medioevo’, Atti del XLIX Convegno storico internazionale del Centro Italiano di Studi sul Basso Medioevo-Accademia Tudertina (Todi, 14-17 ottobre2012), Spoleto 2013, 553-604. 
[3] Il Martirologio geronimiano o gerolimiano (Martyrologium Hieronymianum) costituisce il più antico catalogo di martiri cristiani della Chiesa latina pervenuto: deve il suo nome al fatto di essere stato a torto attribuito a san Gerolamo.
[4] San Vito,una chiesa da salvare, di Giuseppe Lala. da Ezioflammia.com http://web.tiscali.it/restauroantico/san_vito.htm
[5] Op. cit.
[6] Selvaggio M., Bove E., Il culto micaelico in rupe nel Sannio Telesino (con contributi di R. Cangiano, G. Corbo, L. D’Amico, N. Ciervo, W. Mattei, G. Maturo, A. Martone), Istituto Storico del Sannio Telesino, 2022.
[7] https://prolocotelesia.wordpress.com/antiche-terme-jacobelli/



Alex Gisondi

Nato a Frasso Telesino (BN). Dottore in Storia, Antropologia e Religioni. Scrive per alcune riviste on line, la più famosa Radio100 passi fondata nella storica Radio Aut di Peppino Impastato. Docente e mediatore culturale per UCRI (Unione Comunità Romanès) con cui porta avanti numerosi progetti formativi e culturali nelle scuole. Sempre presente la passione per la ricerca scientifica, sta concludendo il ciclo magistrale di studi presso ‘La Sapienza’ di Roma in ‘Culture e Religioni’.