
San Salvatore Telesino nasce per volontà dei monaci dell’omonima abbazia benedettina i quali, dovendo accogliere profughi dalla città di Telesia, distrutta dalle incursioni saracene e dai terremoti, offrirono a questi sventurati un pezzo di terra dove fondare un villaggio. Si formò così un gruppo di case che, per testimoniare la sua dipendenza monastica, assunse la denominazione di Casale di San Salvatore. Con tali premesse sarebbe stato lecito attendersi che il Casale avesse scelto un patrono in continuità con la tradizione benedettina. Invece a San Salvatore si venera san Leucio. Com’è possibile che un paese dipendente da un monastero, in cui ha dimorato sant’Anselmo d’Aosta, possa aver eletto a protettore un santo estraneo alla sua storia e alla sua tradizione? La cosa è abbastanza singolare. Come si spiega la nascita di questo culto? Il mistero è ancora più fitto se si pensa che nel Casale vi era un importante luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo (di tradizione longobarda) la cui chiesetta si trovava poco fuori dal centro abitato, in corrispondenza dell’attuale via Sant’Angelo. E diventa praticamente incomprensibile se si pensa che presso gli abitanti era popolare il culto di san Menna (detto anche Mennato), un santo eremita del IV secolo, la cui corruzione dialettale in “San Manno” dà origine a toponimi quali via Mannesi o Cese san Manno. Proviamo a trovare qualche spiegazione a questo fenomeno.
La Peste
Un fatto è assodato: fino alla fine del Seicento san Leucio non era il patrono di San Salvatore. Non vi è traccia di tale devozione né negli atti parrocchiali né in quelli della Curia vescovile di Cerreto. Ma allora, come lo è diventato? In assenza di documenti inoppugnabili avanziamo alcune ipotesi. È notorio che nel 1656 le province napoletane furono colte da una terribile epidemia di peste. La tremenda malattia provocò la decimazione di gran parte della popolazione del Regno e addirittura la scomparsa di alcuni centri abitati. Addirittura il piccolo abitato di Puglianello divenne completamente disabitato tanto che il vescovo di Cerreto soppresse la chiesa parrocchiale e unificò le rendite alla cattedrale. (Qualche anno dopo Puglianello fu aggregato al comune di San Salvatore).
Il miracolo
Sappiamo bene come l’epoca medievale viveva spesso momenti di particolare sofferenza (carestia, siccità, guerre) e il popolo in questi casi non aveva altra scelta che affidare a Dio il proprio destino. Ma era soprattutto in concomitanza con delle pericolose epidemie che questo bisogno di protezione diventava ancora più impellente.
Per combattere la malattia non c’erano terapie efficaci; l’unica possibilità di salvezza era l’intervento della divina misericordia.
Durante tali occasioni la comunità individuava un patrono, una persona a cui affidare la speranza del futuro. Patrono era colui che dimostrava di avere la necessaria potenza e la sufficiente capacità di far sentire la propria voce nel piegare i disegni celesti ai suoi fini. Egli veniva scelto in quanto avvocato (dal lat. advocatus da ad-vocare: chiamare a sé, invocare in aiuto). Lo strumento attraverso cui il patrono interveniva era il miracolo, cioè il compimento di un’operazione straordinaria, strabiliante e inaudita, interdetta ai comuni mortali. Il miracolo (dal lat. miràculum: cosa meravigliosa, da ammirare) è un evento fuori dal comune, insolito e irripetibile, che travalica dalle leggi della natura divenendo dunque, soprannaturale.
Proprio in occasione della peste del 1656 si diffuse il culto di san Rocco, patrono della peste, personaggio controverso e misterioso che, per l’occasione, ebbe numerose parrocchie a lui dedicate. Anche nelle nostre zone. In questa circostanza, nel Casale di San Salvatore si verificò un fatto insolito: la comunità non sembrò particolarmente colpita dal contagio e fu una delle poche a non subire un consistente calo demografico. Anzi, confrontando il censimento nel Regno di Napoli del 1595 (prima dell’epidemia) con quello del 1669 (dopo l’epidemia) si evidenzia un aumento della popolazione.
L’incremento potrebbe essere la conseguenza di un processo di immigrazione proveniente dagli abitanti della Rocca (Massa Superiore), ma una leggenda popolare attribuisce questa anomalia all’intercessione miracolosa di san Leucio.
Pare che qualche anno prima gli abitanti del luogo avessero trovato all’interno di un rudere dell’antica Telesia una statua lignea dai tratti bizantini raffigurante un vescovo e che l’avessero portata in chiesa con una solenne processione.

Un santo che piaceva ai longobardi
L’identificazione dell’icona con san Leucio è abbastanza plausibile: il culto leuciano era divenuto molto popolare tra i longobardi beneventani ed è certo che tra i numerosi corpora sanctorum giunti a Benevento, vi fossero anche le spoglie mortali di Euprescio, figlio di Eudecio e di Eufrodisia, vescovo di Brindisi, conosciuto successivamente come Leucio, (dal lat. leucos, bianco, colui che ha ricevuto la luce). Di conseguenza anche nella Telesia longobarda, sede di gastaldato, era noto il culto di san Leucio, grazie anche ai continui rapporti tra la popolazione sannita e quella salentina lungo le vie degli antichi tratturi. Secondo tale leggenda san Leucio avrebbe avuto il merito di aver protetto la popolazione di San Salvatore dalla tremenda epidemia del 1656. E questo sarebbe all’origine della devozione per il vescovo brindisino. A sostegno di tale ipotesi c’è il fatto che prima di tale data non vi è alcuna testimonianza del suo culto. Solo nel 1674 si fa cenno per la prima volta alla presenza di un altare e di una tela raffigurante il santo nella chiesa di San Salvatore. Trent’anni dopo, nel 1703, san Leucio sarebbe stato riconosciuto ufficialmente patrono della comunità di San Salvatore. Vi è anche un altro riscontro: fino al 1673 nei registri di battesimo della parrocchia mancano riferimenti onomastici al santo e a nessun nascituro viene imposto il nome di Leucio. Esso compare per la prima volta in un atto di battesimo del 9 gennaio 1673 (si tratta di Leucio Rabuano, figlio di Salvatore e Angela Crocetta). Dopodichè il nome Leucio diventa sempre più popolare, segno evidente di radicamento del culto.
L’istituzione del culto
Con l’elezione di san Leucio a santo protettore, il locale Municipio stipulò una convenzione con la Parrocchia, nell’intento di garantire ampia diffusione del culto e di stabilire le modalità delle celebrazioni in onore del santo Patrono. In una scrittura datata 10 aprile 1750 venne ratificato il seguente accordo:
L’Università di questa terra di S. Salvatore si obbliga a corrispondere annui ducati 30 acciò dall’Arciprete e preti si celebrasse la festività del Glorioso S. Leucio, Patrono e Protettore di questa suddetta Terra, con Messa, Vespri e Processione e con Messa nell’ottava nel chiudere la statua. Occorrendo nei pubblici bisogni cacciare in processione la suddetta statua, i preti siano tenuti gratis con l’obbligo all’Università di mettervi tutte le cere, e soltanto le ceri della Messa vanno a beneficio dei preti. Come pure la suddetta Università tiene l’obbligo di porre le ceri nel triduo di carnevale, nei venerdì di marzo, nella commemorazione dei Morti e nella novena di Natale e le ceri che restano si dividono tra essi preti che sono obbligati ad assistervi.
Il pittore Antonio Sarnelli
Nel 1776, quando il culto per san Leucio era già profondamente diffuso, l’Università di San Salvatore commissionò al pittore Antonio Sarnelli un affresco raffigurante il santo patrono della comunità. La delibera è del 1 dicembre 1776:
Si approva di prendere ducati sessanta, prezzo richiesto, e dargli al pittore napolitano Antonio Sarnelli, perché necessita acquistare un nuovo quadro per la venerazione del nostro glorioso Patrono san Leucio, essendo l’antico marcito dalla umidità della muraglia della Chiesa.
Antonio Sarnelli, napoletano, proveniente dalla bottega di Paolo De Matteis compose per l’occasione una tela di grande impatto emotivo che rievocava un suo precedente dipinto realizzato in Spagna due anni prima e attribuito a san Palladio.
La versione sansalvatorese venne “personalizzata” mediante evidenti riferimenti nella parte inferiore ad un paesaggio di sfondo contenente suggestive attinenze al Casale di San Salvatore con il Castello baronale, la collina della Rocca e l’abbazia benedettina.
Nel 1800, infine, la vecchia statua ritrovata nel rudere della vecchia Telesia, venne sostituita con una nuova statua del patrono, commissionata alla bottega di Gaspare Castelli, rinomato scultore napoletano.

Divergenze o ricerca di autonomia?
Sembrerebbe dunque che la scelta di eleggere san Leucio come patrono di San Salvatore sia nata a seguito della scampata epidemia di peste. Ma potrebbe esserci anche qualche altra motivazione. Si potrebbe supporre una scelta in antitesi con la tradizione benedettina, incoraggiata dalla volontà degli abitanti del neonato Casale di San Salvatore di recidere quel rapporto di dipendenza monastica mediante la promozione di un nuovo culto autonomo e indipendente. L’ipotesi, ancorché indimostrabile, potrebbe essere verosimile.

Come si ricorderà, l’abbazia di San Salvatore esercitava sul Casale i diritti feudali e rappresentava in definitiva l’unica ed indiscussa Auctoritas. E forse proprio questo elemento potrebbe essere alla base di una serie di problemi relazionali con gli abitanti del Casale.
Alla base di queste vicende potrebbero esserci state delle divergenze tra l’Università comunale, in costante e progressiva espansione, e la comunità monastica che gradualmente riduceva la sua influenza. Potrebbero esserci state delle divergenze riconducibili a tentativi di rivendicare diritti di autonomia comunale. Sebbene non esistano prove a sostegno di tali ipotesi, è appurato che l’abbazia ha vissuto analoghe contrapposizioni con altre comunità su cui esercitava la sua influenza. È nota la vicenda di Carattano, altro feudo alle dipendenze dei monaci di San Salvatore, in cui i contadini del luogo, riconoscendo nell’abate l’avido tiranno che pretendeva tasse non proporzionate alle loro possibilità, lo accolsero con urla ed imprecazioni e lo scacciarono con una violenta sassaiola, richiedendo nel contempo l’indipendenza municipale e Statuti autonomi.
Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto anche nel borgo di San Salvatore. Ciò spiegherebbe il motivo per cui, nonostante l’influsso del potente monastero, la cittadinanza decida di scegliersi un protettore estraneo alla tradizione benedettina, quasi a volersi riscattare dalla soggezione e a recidere qualsiasi legame con la comunità religiosa di derivazione.
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Bibliografia:
E. Bove, Il lungo viaggio del beato Leucio, Piedimonte Matese, 2000
P. D’Onofrj, Vita di Santo Leucio primo vescovo di Brindisi, Stamperia Raimondi, Napoli, 1789.