Vincenzo Mazzacane, nelle sue preziose Memorie storiche di Cerreto Sannita, ci narra di un Agostino di Lella nato a Cerreto Sannita il 30 gennaio 1867, laureato in lettere ed appassionato di studi storici. Tra le sue “notevoli e pregiate pubblicazioni” scrisse una memoria letta alla Real Accademia di Archeologia di Napoli: “Telesia – Storia ed Archeologia”, data poi alle stampe nel 1912.
Anche l’ennesimo nostro grande concittadino, fratello, tra l’altro, di Mons. Simone, noto per la fondazione del convitto Silvio Pellico e per la santità della sua vita che gli meritò la generale venerazione, si occupò di Telesia, “città Caudina”, delle Forche Caudine e del Ponte di Annibale. Tre passaggi che mostrano chiaramente come la sua cultura, oltre un secolo e mezzo fa, “volasse alto”, senza paura di navigare controcorrente, ovvero di mettersi contro questo e/o quello. Distinguersi dal comune sentire perché… lo ha detto lui, lo ha detto l’altro, non faceva proprio parte del suo bagaglio culturale non nozionistico, ma criticamente pensato.
Ecco le sue tre pietre miliari che da tempo ho fatto mie… alienandomi qualche amico… interessato ad altra verità di comodo:

Telesia fu “urbs” caudina:

«intorno all’aspro Matese fermò dapprima le sue sedi la colonia sabina, che poscia, cresciuta di genti, si sparse per i luoghi all’intorno, ed è da quel momento che Telesia… si trasformò in un centro prettamente sannico tra i Caudini».

Ergo: prima le varie tribù italiche vivevano sui monti del Matese “vicine vicine”. Poi, dopo la romanizzazione, volenti o nolenti, furono costrette a… delocalizzarsi e a scendere a valle nelle varie “new town” di impronta tipicamente romana: Saepinum e Telesia su tutte.

«…a torto la valle (Caudina) così funesta alle armi romane, ed i passi che vi conducono, vengono dipinti dagli annalisti a simiglianza delle selvagge spaccature dei valichi alpini, ciò è contro la verità storica; né le posizioni dei Sanniti erano imprendibili o inattaccabili, mentre invece le vie che menano nella valle caudina son tutte tali che, quando non eran difese da armi da fuoco, si poteva assai bene tentar di forzarle con la speranza di lieto, se non facile successo» 

Ergo: Tito Livio scrive e descrive con dovizia di parcolari le “selvagge gole a forma di furcula in territorio caudino, lungo la via brevior”, dove furono intrappolati Romani ivi attirati come il miele attira le mosche, e tanti pur validi storici, taroccano il paesaggio, taroccano la data di nascita delle strade e delle città (la Via Appia e Caudium… costruite prima della romanizzazione. Horribile dictu!), e si mettono contro la storia.

Ponte di Annibale: “Un modesto passaggio tra due rupi altissime, alle cui basi scorre il Titerno, che avrebbe assunto il nome del condottiero prendendolo in prestito da quello di un sito vicino, realmente attraversato dal Cartaginese”.

Se sui primi due punti non vado oltre, avendone già parlato abbastanza, tanto che il tarlo del dubbio sta entrando in qualche mente un po’ “restia”, il terzo mi incuriosisce: per la prima volta leggo di una appropriazione indebita di un episodio storico: su quale ponte passò Annibale?

Cominciamo dalla narrazione di Polibio, lo storico greco vissuto nel II sec. a.C. e “maestro” di Tito Livio vissuto a cavallo della nascita di Cristo. Nel libro III delle Istorie, lo storico greco, ai cap. 92 e 93, pag.385 e 386 dell’edizione di Lipsia, racconta di un Annibale indeciso se, dopo aver sconfitto i Romani a Canne, puntare diritto su Roma, oppure puntare prima su Capua, visto anche l’avvicinarsi dell’inverno. La decisione presa, quella di puntare prima su Capua e lì svernare, influenzò sicuramente la scelta della strada da percorrere tra le tre possibili: una attraverso il territorio dei Latini «Lατines», utile per puntare su Roma, un’altra attraverso quello degli Irpini «Ἱρπίνους τόπων» e, la terza, che scelse, è quello che, dopo aver attraversato il Sannio ἐκ τῆς Σαυνίτιδος, seguiva le strettoie del Monte Erbano.

Così, come chiarisce poi nel cap. 93, dopo aver attraversato la terra dei Sanniti, attraverso le strette gole di quel colle che chiamano Eribanum , raggiunse una pianura che il fiume Athurnun tagliava in due e lì realizzò l’accampamento dal lato del fiume che guarda verso Roma. Descrizione così chiara dei luoghi, perfettamente rispondente alla pianura di Marafi, che evito ogni ulteriore approfondimento… già sono stato “logorroico”, mi disse qualcuno, nel mio saggio sulle forche Caudine.

Viene facile però un dubbio: Annibale, per percorrere la strada scelta, avrebbe incontrato un grande ostacolo: due corsi d’acqua spesso irruenti ed invalicabili: il Titerno A-Turnum, ed il Vol-turnum. Come superarli?
Poco male: per uno che aveva attraversato lo stretto di Gibilterra… bastava informarsi prima sulla presenza di un guado: Storie di Polibio-LXXIX : «Annibale, dopo essersi informato con cura ed essersi accertato che i luoghi per i quali avrebbe dovuto passare erano guadabili e avevano il fondo resistente, si mise in marcia…». Ed i guadi c’erano: sia per attraversare il Titerno, a Civitella, che per attraversare il Volturno, a Marafi.

Però siamo in autunno inoltrato e, soprattutto il nostro Titerno, quando è in piena, diventa pericoloso. Molto pericoloso. Resta memorabile la piena del 13 settembre 1857 che tutto travolse e distrusse, ”rovine anche maggiori soffrì la strada che da Cerreto per Civitella mena a Cusano, essendosi dalle acque rovesciato un antico ponte” (discorso del Sottintendente Conte Francesco Viti – 15 aprile 1858). Probabilmente a “rovesciarsi” fu proprio il Ponte di Annibale, come chiaramente denuncia la struttura dell’arco, più stretto rispetto alle spalle, segno evidente di un rifacimento “parziale”. Rifacimenti ben evidenti nelle spalle del ponte stesso.

Comunque il “geometricamente perfetto” ponte, pur essendo arrivato a noi con numerosi “trapianti”, ha sempre rivendicato, con orgoglio, il titolo di “ponte su cui passò Annibale. Come ce ne sono tanti altri lungo il percorso che il condottiero cartaginese compì… dalle Alpi alla Calabria. Personalmente sono sempre stato dell’idea che il ponte “originario” fu realizzato in prossimità del punto ove Annibale guadò il Titerno, ma dopo il 216 a.C., data della battaglia di Canne.

Poi… da quanto sostenuto dallo storico Agostino Di Lella, ricordo un ponte di cui ho spesso parlato, che sta tra il Ponte di Annibale ed il guado di Civitella… e sintetizzo tutto in un concetto banale ma… verosimile. Molto verosimile.
Ecco il ragionamento.
Ritenuta improbabile l’ipotesi che Annibale abbia attraversato il Titerno proprio sul Ponte “ufficialmente” di Annibale, non è che abbia ragione il dr. Di Lella che aveva sentito parlare di un altro ponte più a monte? Possibile… perché c’è e, fino a prova contraria, tutto lascia pensare che sia una struttura che precede la “perfetta” tecnica romana. Che sia un ponte a “tecnica” Etrusca? Agli esperti l’ardua sentenza.
Lo si incontra percorrendo il sentiero del Titerno alle falde del Monte Cigno, sentiero interrotto da una frana (visitabile!), per cui, bypassando la stessa con una deviazione da brividi, appare in tua la sua nobiltà?

Certo che siamo di fronte ad un ponte incredibile, assurdo, dal valore storico inestimabile; un ponte riduttivamente passato alla storia come Ponte del mulino, a ricordo di un Mulino costruito da zì Fiore e di un muraglione realizzato sul vecchio arco… che arco non è, per raggiungere il mulino stesso o, forse, più probabilmente per portare l’acqua al mulino, visto lo sbarramento realizzato più a monte e pur esso travolto dall’impeto del fiume.

A guardare il ponte, io rimasi stupito! Un autentico gioiello megalico, il ponte, che non ha eguali nel mondo ed al quale nemmeno una sopraelevazione postuma e parzialmente ancora in piedi, ha levato il fascino innegabile che emana, tipico di chi siede su un trono. Per me, il primato dell’età spetta a lui! La tecnica costruttiva sicura e precisa e l’impronta generale dell’insieme inducono a pensare, con tutte le cautele del caso (e sempre in attesa di ulteriori riscontri) che siamo in presenza di un ponte a sesto ribassato, che supera i tentativi etruschi della tecnica dello pseudoarco, una struttura cioè che dell’arco ha solo una somiglianza di forma, non di statica, per avvicinarsi alla perfezione dell’arco romano. Un miracolo tecnico dei Sanniti? Che sia lui il titolare del titolo di Ponte di Annibale?
Poi venne il Ponte di Annibale dal titolo… comprato, tipo quello dei commercianti di panni lana nella Cerreto del ‘700! Un ponte sicuramente più snello e geometricamente perfetto, però… parzialmente crollato durante il diluvio del 1857. Mentre il Ponte di Annibale “derubato del titolo” ha un artificio tecnico che non sembra casuale, ma decisamente voluto da chi conosceva l’irruenza del Titerno in caso di piena. Il ponte è arcuato anche nel piano orizzontale, proprio per offrire maggior contrasto alla furia delle acque, proprio con lo stesso principio con il quale si realizzano oggi le dighe! Infatti… nel tempo l’acqua portò via il “muraglione, portò via tue le strutture del mulino… ma il nostro ponte resisté eroicamente e «sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti». Forse, se Dante lo avesse conosciuto, a lui avrebbe dedicato questi versi.

Il Ponte è davvero un piccolo tesoro tecnico, storico, archeologico, in un angolo di paradiso ove, tra un bagno e l’altro ci si può regalare un attimo di relax rievocando la grandezza dei nostri antenati!


Lorenzo Morone

Architetto e cultore di Storia Locale in Cerreto Sannita, ha come campi di interesse gli insediamenti abitativi sanniti. É autore di un saggio sulle Forche caudine dal titolo: "Cominium Ocritum e le Forche caudine: una storia eretica", edito nel 2023.