L’identità storica di Terra di Lavoro è una faccenda che riguarda da vicino il Sannio Telesino, politicamente legato alla storica provincia borbonica fino all’Unità d’Italia. Esso, come tale, risente della fragilità di tale identità, spesso priva di una rappresentazione forte e riconoscibile. Terra di Lavoro è stata un’area geografica da sempre subordinata alla tentacolarità di Napoli, raccogliendone spesso la connotazione negativa e stereotipata e più di frequente incapace di raccogliere le opportunità “positive” provenienti dal capoluogo.1A riguardo, si veda: G. Guarino, Caserta o Terra di Lavoro: un problema di identità storica del territorio, in «Annali del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”», n. 1, 2024, pp. 661-689. Essa nacque come giustizierato in era federiciana, nel 1231,2Federico II, con la costituzione di Melfi del 1231, suddivide il territorio del Regno di Sicilia in unità amministrative dette appunto “giustizierati”, tra i quali quello di Terra di Lavoro e Contado di Molise. nell’area corrispondente idealmente al territorio pianeggiante della Campania Felix o ager Campanus di epoca romana. Il territorio in questione – al quale dal 1272 sarebbe stato aggregato anche il Contado di Molise3G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese 1264-1494, UTET, Torino, 1992, pp. 841 ss.– era già storicamente rurale, votato alla produzione alimentare.4A. Franciosi, Istituzioni e territorio nell’ager Campanus in età romana: aspetti storici, giuridici, politici, in I. Ascione, G. Cirillo, G.M. Piccinelli (a cura di), Alle origini di Minerva Trionfante. Caserta e l’utopia di San Leucio, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli Archivi, Roma, 2012, pp. 39-73. Già il periodo borbonico fu segnato da costanti fratture tra politica e società, dovute ai numerosi contrasti tra la monarchia e i proprietari terrieri, con questi ultimi spesso in opposizione ai piani di risanamento portati avanti dalla Corona.5F. Serpico, Il paesaggio e la storia del diritto, brevi note a margine di un processo civile in Terra di Lavoro nell’Ottocento, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), 1818-2018. Caserta e la sua provincia, DiLBeC, Santa Maria Capua Vetere, 2021, pp. 159-168.
Terra di Lavoro, già prima dell’acquisizione del feudo di Caserta da parte dei Borbone nel 1750, rivestiva un ruolo manifestamente periferico rispetto a Napoli, reso però rilevante dalle città regie di Aversa, Capua e Gaeta.6L. Cirillo, Il Sito Reale di Caserta-S. Leucio attraverso l’analisi delle platee del cavalier Sancio: origini, costruzione, funzioni, in I. Ascione, G. Cirillo, G.M. Piccinelli (a cura di), op. cit., pp. 39-40. Il suo territorio era pressoché immenso: nel 1505 si contavano 183 centri, saliti a 232 nel 1832.7G. Sodano, Terra di Lavoro e la nascita dell’identità moderna, in G. Amirante, R. Cioffi, G. Pignatelli (a cura di), V: Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Giannini, Napoli, 2018, pp. 35-36. Si tratta di un territorio ad oggi suddiviso tra tre regioni (Campania, Lazio e Molise) e sette province (Caserta, Napoli, Benevento, Avellino, Isernia, Frosinone e Latina). Tuttavia, la storia della provincia è stata segnata da tre grandi traumi storici che ne hanno frammentato il territorio e ne hanno condizionato profondamente l’identità: il Decennio Francese (1806-1815), l’Unità d’Italia (1860-1861) e la soppressione fascista della provincia (1927). Oggi la sua eredità è raccolta della provincia di Caserta che, però, non possiede praticamente più nulla della vecchia centralità ma si trova ad essere una “periferia”.

1.     Il primo trauma: il Decennio Francese (1806-1815)

Il primo grande trauma che è intervenuto nella mutazione della struttura secolare di Terra di Lavoro è dovuto alle riforme amministrative introdotte nel Regno di Napoli durante il Decennio Francese (1806-1815). Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, nel tentativo di riorganizzare lo stato borbonico secondo modelli più efficienti e razionali, misero in atto un profondo riassetto territoriale e amministrativo, con l’obiettivo di sradicare le strutture feudali e rafforzare il potere centrale. Dal punto di vista geografico, una delle conseguenze più devastanti per Terra di Lavoro fu la separazione della capitale. Con il decreto dell’8 agosto 1806, si stabilì la creazione della Provincia di Napoli, sottraendo a Terra di Lavoro alcuni dei suoi centri più importanti e strategici, tra cui Pozzuoli e Castellammare di Stabia, mentre venivano mantenuti i distretti di Sora, Gaeta e Santa Maria, con quest’ultima elevata a capoluogo,8Legge n. 134 dell’8 agosto 1806, Sulla divisione ed amministrazione delle provincie del regno, in Bullettino delle Leggi del Regno di Napoli,Napoli, 1813, pp. 269-280. poi spostato a Capua nel 1808. 
Questa separazione ebbe due conseguenze dirette. La prima fu un indebolimento economico e politico di Terra di Lavoro, che perse parte del suo dinamismo e della sua centralità amministrativa. La seconda derivò dall’accentuazione della dipendenza da Napoli, che divenne il fulcro economico e culturale del Regno, marginalizzando le aree rurali. Ma, oltre al riassetto amministrativo, il decennio francese portò con sé la fine della feudalità, con la conseguente redistribuzione delle terre a favore della borghesia emergente. Questo processo, però, non avvenne senza resistenze: i grandi proprietari terrieri locali cercarono di mantenere il controllo economico, mentre i contadini si trovarono spesso privati di riferimenti sociali ed economici. Il nuovo assetto istituzionale venne percepito come un’imposizione straniera, e la provincia dovette affrontare una fase di grande instabilità che non terminò certo con il ritorno di Ferdinando di Borbone e l’istituzione di due ulteriori distretti: Nola e Piedimonte d’Alife.9A. Di Biasio, Terra di Lavoro olim Campania Felix, in S. Conti, A. Di Biasio (a cura di), La Terra di Lavoro nella storia: dalla cartografia al vedutismo, Associazione Roberto Almagià, Caserta, 2012, pp. 11-34.
Nel 1818, in seguito alla restaurazione borbonica, sulla scia del trauma francese Caserta venne elevata a nuovo capoluogo della provincia,10P. Franzese, Caserta e la sua provincia (1818-2018). Il problema delle fonti archivistiche, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), op. cit., pp. 17-26. a discapito della piazza d’armi di Capua e delle città storiche di Aversa e Santa Maria Maggiore. In questo scontro dialettico, i “centri” si vedevano relegati a “periferie”, mentre la borbonica “città di casali” si elevava a nuovo centro.11L. Russo, L’Intendenza di Terra di Lavoro dalla seconda restaurazione borbonica al periodo rivoluzionario (1815-1821), in «Rivista di Terra di Lavoro – Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta», a. 14, n. 2, 2019, pp. 92-109. Terra di Lavoro, dunque, si trovò staccata anche dal suo nuovo capoluogo, che si faceva semplice avamposto della Corona, una città moderna ma abitata da estranei legati a doppio filo a Napoli: una «città di caserme e di uffici» ben lontana eco del progetto illuminato che l’aveva ispirata.12F. Canale Cama, La provincia e la nazione. La questione di Terra di Lavoro dal Risorgimento al fascismo, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese, op. cit., pp. 101-109. 

2. Il secondo trauma: l’Unità d’Italia (1860-1861)

Alla vigilia dell’Unità nazionale, nel territorio della provincia di Terra di Lavoro si trovavano ancora l’area acerrana e quella nolana, quella del Sannio caudino e telesino fino alle propaggini del Matese; i dintorni di Gaeta fino a Fondi (incluse le isole di Ponza e Ventotene); le aree di Cassino e Sora; le aree del Vallo di Lauro e del Baianese e, infine, l’area di Venafro fino a Monteroduni. 
Se il Decennio Francese aveva modificato per la prima volta gli assetti territoriali ed economici, l’Unità d’Italia portò con sé un secondo trauma per Terra di Lavoro. Con la conquista garibaldina e il passaggio al Regno d’Italia, la dittatura dell’Eroe emanò il decreto del 25 ottobre 1860, con il quale Pallavicino Trivulzio, decretò la nascita della Provincia di Benevento.13Decreto del Pro-Dittatore del 25 ottobre 1860, in Atti del Governo estratti dal Giornale Officiale di Napoli, Napoli 1860, p. 178.

23 comuni vennero sottratti a Terra di Lavoro per la creazione della nuova provincia Sannita. I circondari di Cerreto, Cusano, Guardia Sanframondi, Solopaca, Airola e Sant’Agata de’ Goti,14Decreto Luogotenenziale n. 260 del 7 dicembre 1860. avrebbero così lasciato per sempre Caserta per unirsi a Benevento. Lo stesso atto, confermato dal decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861, segnò il passaggio alla provincia di Campobasso dei circondari di Venafro e Castellone,15Ibidem. con il comune di Presenzano che sarebbe poi stato riaggregato a Terra di Lavoro nel 1878.16A. Taccone, Circoscrizioni amministrative e denominazioni dei comuni, in O. Campanile (a cura di), Atti demaniali (1807-1869), Luciano, Napoli, 1994, pp. 149-156. Alla provincia di Principato Ulteriore, corrispondente all’attuale provincia di Avellino, vennero invece aggregati i circondari di Baiano e Lauro.17Decreto Luogotenenziale n. 260 del 7 dicembre 1860.

Se nel Sannio Telesino gli scontri tra Salvatore Pacelli e Michele Ungaro sull’opportunità del passaggio dei comuni dell’area alla nuova provincia rimangono celebri e non privi di reciproche recriminazioni, l’intera nuova provincia si sarebbe trovata a vivere a suo modo il trauma, comprensivo del ritorno in auge di «personaggi ambigui e di dubbia moralità».18Cfr. E. Bove, Politica e affari nell’Italia del Risorgimento, Fioridizucca, San Salvatore Telesino, 2021, pp. 195 ss. Questa amputazione territoriale portò comunque ad uno smantellamento della coesione territoriale locale, con la perdita di aree che da secoli erano legate economicamente e culturalmente a Terra di Lavoro, conducendo ad un ri-orientamento amministrativo e burocratico, con la necessità per molti comuni di adattarsi a nuovi capoluoghi e nuovi referenti politici. Inoltre, l’istituzione della nuova provincia, insieme alla dura repressione del brigantaggio postunitario, fu accompagnata da una forte centralizzazione e ad un incremento della presenza militare sul territorio, tanto in quel che rimaneva di Terra di Lavoro quanto nel beneventano.

3. Il terzo trauma: la soppressione fascista della provincia (1927)

L’evento più traumatico per Terra di Lavoro – del quale la provincia di Benevento avrebbe ancora, ma per poco meno di un ventennio, beneficiato – si verificò sotto il regime fascista, quando nel 1927 la provincia venne soppressa e il suo territorio frammentato tra diverse unità amministrative. Alla fine del 1926, infatti, il governo decretò la soppressione di ciò che rimaneva dell’antica provincia, ratificando la decisione con regio decreto il 2 gennaio 1927. Terra di Lavoro veniva così smembrata per sempre e i suoi territori distribuiti alle province di Napoli, Benevento, Roma e Campobasso, oltre alla neocostituita Frosinone.19R.D.L. n. 1 del 2 gennaio 1927, Riordinamento delle circoscrizioni provinciali.
Benché ufficialmente giustificato da ragioni di razionalizzazione amministrativa, il provvedimento nascondeva una precisa strategia politica. Il Duce aveva intenzione di colpire un territorio considerato ostile al fascismo, per via delle sue tradizioni socialiste e sindacaliste20F. Canale Cama, La provincia e la nazione. La questione di Terra di Lavoro dal Risorgimento al fascismo, in Brevetti, Sodano, De Lorenzo, Franzese (a cura di), op. cit., pp. 106-107. e, al contempo, ridurre il potere della criminalità organizzata locale, dunque con il pretesto di combattere la camorra.21C. Castellano, The Fascist anti-mafia operation in Campania, 1926-1927, in «Modern Italy», vol. 22, n. 4, 2017, pp. 403-417. Inoltre, la litigiosità del fascismo casertano e la sua debolezza endemica rappresentarono un ulteriore incentivo per il governo centrale, allo scopo di prevenire eventuali problematiche future.22Cfr. A. Pepe, Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne, Canterano, 2019; G. Capobianco, Fascismo e modernizzazione: la scomparsa di Terra di Lavoro nel 1927, Centro Studi Corrado Graziadei, Caserta, 1991. Caserta divenne così definitivamente l’estrema periferia del napoletano, costituendone il retroterra settentrionale. 
La dissoluzione della provincia comportò dunque un ulteriore stravolgimento dell’identità territoriale. Per secoli, Terra di Lavoro era stata una realtà storica riconoscibile, ma con la sua abolizione il territorio si trovò disgregato e privo di una sua rappresentanza politica autonoma. Fatto sta che Caserta, riprendendo le affermazioni del Duce, dovette rassegnarsi a diventare solo un «quartiere di Napoli», estrema periferia di un immenso centro metropolitano in linea con l’aspirata grandeur del fascismo-23Cfr. T. Ricciardi, Migrazione e andamento demografico: da Terra di Lavoro a Provincia di Caserta, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), op. cit., pp. 183-191. Mussolini, tra l’altro, con la sua operazione non favorì soltanto la città partenopea ma anche Benevento e Frosinone, in nome della ricostruzione delle territorialità di Sannio e Ciociaria.
Fu solo nel 1945, dopo la caduta del fascismo, che la provincia venne ricostituita, ma il danno ormai era fatto: il nome “Terra di Lavoro” venne accantonato e la sua centralità amministrativa ridimensionata.

4. Lo “slabbramento identitario” di Terra di Lavoro

La provincia di Caserta sarebbe stata ricostituita soltanto l’11 giugno 1945, recuperando i comuni ceduti nel 1927 alle province di Benevento, Napoli e Campobasso, ma non quelli passati alle province del Lazio,24Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 373 dell’11 giugno 1945. in un nuovo “slabbramento identitario” nel quale Terra di Lavoro, Caserta e Napoli si ritrovano a vivere tutt’oggi un rapporto controverso, frutto di quello che è stato un vero e proprio laboratorio storico-geografico.
La ripartizione francese del 1806, l’istituzione della provincia di Benevento nel 1860 e la soppressione fascista del 1926-27 hanno tutte teso a slabbrare un’identità locale sempre più provata. Quella di Terra di Lavoro è un’entità che, con i suoi mutamenti e soprattutto nelle sue aree interne, è destinata a rimanere altra da Napoli pur essendo da Napoli sempre condizionata. Una sorta di feudo che non rientra pienamente nella sfera della napoletanità, sebbene ad essa costretto a far sempre riferimento. 
I francesi avevano ridotto le dimensioni del territorio storico in nome di un motivo tecnico (la riorganizzazione strutturale e amministrativa), cedendone parte a Napoli. Pallavicino Trivulzio preferì dare a Benevento la centralità che si confaceva all’importanza della città, a discapito dei legami storici di Terra di Lavoro (e di altre province del Regno, ovvero Molise, Principato Ulteriore e Capitanata) con quelle aree che andarono a costituire la nuova provincia sannita. Mussolini, infine, dissolvendo la provincia, legò direttamente il casertano a Napoli, costringendolo all’estrema umiliazione. Un discorso che rappresenta la conclusione – con effetti opposti – dei progetti di proiezione napoletana sull’area avviati dai Borbone. La Corona napoletana aveva infatti conferito parte della centralità partenopea al territorio casertano, mentre Mussolini portò a termine una sua “estrema periferizzazione” che, a partire dal 1945, con la sostituzione del toponimo di “Terra di Lavoro” con l’odierno “provincia di Caserta”, si può dire ancora in corso.

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Note:
[1] A riguardo, si veda: G. Guarino, Caserta o Terra di Lavoro: un problema di identità storica del territorio, in «Annali del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”», n. 1, 2024, pp. 661-689.
[2] Federico II, con la costituzione di Melfi del 1231, suddivide il territorio del Regno di Sicilia in unità amministrative dette appunto “giustizierati”, tra i quali quello di Terra di Lavoro e Contado di Molise.
[3] G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese 1264-1494, UTET, Torino, 1992, pp. 841 ss.
[4] A. Franciosi, Istituzioni e territorio nell’ager Campanus in età romana: aspetti storici, giuridici, politici, in I. Ascione, G. Cirillo, G.M. Piccinelli (a cura di), Alle origini di Minerva Trionfante. Caserta e l’utopia di San Leucio, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli Archivi, Roma, 2012, pp. 39-73.
[5] F. Serpico, Il paesaggio e la storia del diritto, brevi note a margine di un processo civile in Terra di Lavoro nell’Ottocento, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), 1818-2018. Caserta e la sua provincia, DiLBeC, Santa Maria Capua Vetere, 2021, pp. 159-168.
[6] L. Cirillo, Il Sito Reale di Caserta-S. Leucio attraverso l’analisi delle platee del cavalier Sancio: origini, costruzione, funzioni, in I. Ascione, G. Cirillo, G.M. Piccinelli (a cura di), op. cit., pp. 39-40.
[7] G. Sodano, Terra di Lavoro e la nascita dell’identità moderna, in G. Amirante, R. Cioffi, G. Pignatelli (a cura di), V: Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, Giannini, Napoli, 2018, pp. 35-36.
[8] Legge n. 134 dell’8 agosto 1806, Sulla divisione ed amministrazione delle provincie del regno, in Bullettino delle Leggi del Regno di Napoli,Napoli, 1813, pp. 269-280.
[9] A. Di Biasio, Terra di Lavoro olim Campania Felix, in S. Conti, A. Di Biasio (a cura di), La Terra di Lavoro nella storia: dalla cartografia al vedutismo, Associazione Roberto Almagià, Caserta, 2012, pp. 11-34.
[10] P. Franzese, Caserta e la sua provincia (1818-2018). Il problema delle fonti archivistiche, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), op. cit., pp. 17-26.
[11] L. Russo, L’Intendenza di Terra di Lavoro dalla seconda restaurazione borbonica al periodo rivoluzionario (1815-1821), in «Rivista di Terra di Lavoro – Bollettino on-line dell’Archivio di Stato di Caserta», a. 14, n. 2, 2019, pp. 92-109.
[12] F. Canale Cama, La provincia e la nazione. La questione di Terra di Lavoro dal Risorgimento al fascismo, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese, op. cit., pp. 101-109.
[13] Decreto del Pro-Dittatore del 25 ottobre 1860, in Atti del Governo estratti dal Giornale Officiale di Napoli, Napoli 1860, p. 178.
[14] Decreto Luogotenenziale n. 260 del 7 dicembre 1860.
[15] Ibidem.
[16] A. Taccone, Circoscrizioni amministrative e denominazioni dei comuni, in O. Campanile (a cura di), Atti demaniali (1807-1869), Luciano, Napoli, 1994, pp. 149-156. 
[17] Decreto Luogotenenziale n. 260 del 7 dicembre 1860.
[18] Cfr. E. Bove, Politica e affari nell’Italia del Risorgimento, Fioridizucca, San Salvatore Telesino, 2021, pp. 195 ss.
[19] R.D.L. n. 1 del 2 gennaio 1927, Riordinamento delle circoscrizioni provinciali.
[20] F. Canale Cama, La provincia e la nazione. La questione di Terra di Lavoro dal Risorgimento al fascismo, in Brevetti, Sodano, De Lorenzo, Franzese (a cura di), op. cit., pp. 106-107.
[21] C. Castellano, The Fascist anti-mafia operation in Campania, 1926-1927, in «Modern Italy», vol. 22, n. 4, 2017, pp. 403-417.
[22] Cfr. A. Pepe, Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne, Canterano, 2019; G. Capobianco, Fascismo e modernizzazione: la scomparsa di Terra di Lavoro nel 1927, Centro Studi Corrado Graziadei, Caserta, 1991.
[23] Cfr. T. Ricciardi, Migrazione e andamento demografico: da Terra di Lavoro a Provincia di Caserta, in G. Brevetti, G. Sodano, R. De Lorenzo, P. Franzese (a cura di), op. cit., pp. 183-191.
[24] Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 373 dell’11 giugno 1945.



Giuseppe Guarino

Presidente dell’Associazione culturale “La Biblioteca del Sannio”, dottore di ricerca presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” con una tesi sulla metadatazione della cartografia storica. Giornalista e direttore di Canale Sassuolo. Già docente a contratto di Lingua e Cultura Spagnola e Global History, presso il dipartimento di Scienze Politiche dell'ateneo vanvitelliano, è attualmente tutor di Storia Contemporanea e Storia dei Partiti e Movimenti politici.