
In fuga dalla miseria
Negli anni del dopoguerra la proprietà terriera in provincia di Benevento era molto frazionata con una netta prevalenza della piccola proprietà; si contavano 126.172 aziende agricole che occupavano una superfice di 195.131 ettari, con una media per azienda di poco superiore a 1,5 ettari; la media proprietà, da 10 a 50 ettari, rappresentava appena l’1,4% del totale e il 7,4% della superfice, con una media per azienda di 18,7 ettari mente la grande proprietà, quella superiore a 50 ettari, era costituita da 232 aziende e occupava il 22,1% della superfice complessiva, circa 185 ettari. Il contratto agrario più diffuso continuava ad essere quello di affitto, al quale ricorrevano solitamente i grandi proprietari, con pagamento dei relativi canoni in contanti, in natura o in forma mista. Solo nelle zone più progredite dal punto di vista agrario si applicava il contratto di mezzadria denominato “classico”, che consisteva nella ripartizione in parti uguali fra proprietario e mezzadro sia di tutte le spese occorrenti per la coltivazione dei fondi, sia dei prodotti. Quest’ultimo, seppur non molto comune, era allora preferito dai proprietari i quali riscuotendo la loro parte in natura, non risentivano della perdita del valore della moneta, come invece avveniva per i canoni in contanti. Non esistevano quasi mai contratti scritti o regolarmente registrati ed il rapporto tra concedente e coltivatore era sempre ambiguo ed estremamente precario.1E. De Simone, V. Ferrandino, L’economia sannita nel ventesimo secolo, Op. cit., pagg. 144-145.
Nel Fortore veniva utilizzato frequentemente lo strumento della “compartecipazione” che, nella maggior parte dei casi, penalizzava il contadino. Egli, dopo avere concluso il ciclo colturale, poteva correre il rischio di portare a casa solo qualche “mazzetto” di granone, senza alcuna certezza per il suo futuro e per quello della sua famiglia.2Il contratto di compartecipazione rappresenta un contratto atipico, cioè non regolamentato in maniera organica né dal codice civile né da altre leggi dello Stato. Tale contratto rappresenta una forma di esercizio congiunto dell’attività agraria e prevede che due soggetti si accordino per utilizzare i propri fattori produttivi per svolgere una coltivazione a carattere stagionale. Si tratta pertanto di un contratto di natura associativa con il quale il concedente mette a disposizione il fondo per coltivarlo insieme ad un altro imprenditore (compartecipante) al fine di dividere i prodotti ottenuti. Cfr.: M. Mancino, Latifondo e contratti agrari nel Mezzogiorno, Ed. Galzerano, Salerno, 1986.
In questo caso il padrone aveva sotto costante ricatto il fittavolo o mezzadro, costretto a corrispondere canoni esosi al proprietario oltre ad una serie di regalie che, più delle volte, equivalevano ad un secondo affitto.
Il padrone aveva come unico compito quello di attendere che il mezzadro, dopo aver raccolto i quintali di grano o il foraggio pattuito, gli consegnasse tutti i prodotti che aveva ricavato nei campi; non si recava mai in campagna né si preoccupava della propria terra se non per riscuotere le prestazioni. Non apportava migliorie al fondo neppure per ristrutturare le fatiscenti case coloniche, favorendo, così, indirettamente un processo di depauperamento economico e di degrado edilizio nelle campagne. Era il “parzenale” che consegnava spontaneamente una cospicua parte del raccolto, sulla base di patti verbali che i lavoratori rispettavano puntualmente.3Nel gergo dialettale il “parzenale” (dal lat. Medievale “partionarius”), analogo di mezzadro, era colui che aveva un contratto a metà con il concedente. Cfr.: Dizionario enciclopedico Treccani.
Nella zona del Fortore esistevano grandi proprietari assenteisti che, grazie al loro monopolio sulla terra, da un lato, imperavano ed assoggettavano migliaia di mezzadri e fittavoli, dall’altro manovravano tutto l’andamento sia economico che sociale delle piccole proprietà. Un esempio di grandi proprietà nella Valfortore era rappresentato da alcune famiglie che possedevano terre di grandi dimensioni, come nel caso di Baselice dove la proprietà Farina si estendeva per 603.22.59 ettari, così a San Bartolomeo in Galdo dove la proprietà Catalano si sviluppava su una superfice di 423.96.75 ettari, a Foiano Valfortore gli Ziccardi possedevano 388 ettari e a Monfalcone le terre degli Antinozzi raggiungevano i 188.14.40 ettari.4«Il Padrone qui è il vero padrone, che fa e disfà a suo piacimento e mantenendo sotto l’incubo dello sfratto il disgraziato fittavolo o mezzadro, riesce ad estorcergli canoni esosi e filze di regalie che il più delle volte equivalgono ad un secondo estaglio» da “Il Secolo Nuovo” del 26 aprile 1951. Questi dati evidenziavano come una riforma fondiaria ben strutturata dovesse essere attuata al più presto. Il modo per una seria e concreta attuazione di tale riforma doveva essere quello di limitare i possedimenti di un certo numero di possidenti terrieri in modo da consentire la creazione di nuove e piccole proprietà che portassero ad attuare un cambiamento concreto per mutare l’aspetto desolante della provincia. Necessità quindi di una riforma agraria che unitamente alla bonifica sia apportatrice di benessere e di civiltà per la zona della Valfortore. Riforma agraria e bonifica che facciano di questo “triste campionario di piaghe” una zona prospera e rigogliosa nell’interesse economico e sociale di tutta la provincia”.5A. Campanella, Riforma agraria nel Fortore in “Il Secolo Nuovo” del 26 aprile 1951.
Per queste ragioni, a partire dal secondo dopoguerra, la popolazione del Sannio subì una lenta e costante flessione. Gli effetti del calo demografico furono disastrosi sull’economia poiché, com’è facilmente intuibile, ad emigrare furono soprattutto le unità attive di sesso maschile e di giovane età e ciò ebbe come conseguenza anche una profonda modifica della struttura demografica della popolazione.
Il fenomeno non lasciò indifferente la zona del Fortore, anzi, è proprio da queste terre che si registrarono tra i numeri più alti di tutta la provincia sannita con picchi che raggiunsero addirittura le 2000 unità, come nel caso del comune di San Bartolomeo in Galdo. Tra il 1951 ed il 1971 nell’aera del Fortore si ebbe una perdita pari al 28% degli abitanti. Prendendo in riferimento la zona del comprensorio Fortore-Tammaro, la popolazione scese da 54.439 del 1951 a 43.628 del 1961 e a 39.655 del 1971, toccando punte impressionanti come nel caso di San Giorgio la Molara (-32,3%), Molinara (-33%), Castelfranco in Valfortore (-42,2%).
Di questa consistente massa di emigrati, un gran numero di persone si muoveva solo per alcuni periodi, vale a dire senza trasferirsi definitivamente e conservando la propria residenza nel comune di partenza. Questo tipo emigrazione “temporanea” nel 1965 raggiunse il culmine interessando circa 20 mila persone. La cospicua schiera di migranti si mosse prediligendo l’estero rispetto alle mete nazionali e interessò quasi tutti i Comuni della provincia. Le principali destinazioni furono la Svizzera e la Germania, seguiti da Inghilterra, Francia e Belgio. Erano per lo più contadini costretti a lavorare nei settori più disparati diversi da quelli agricoli, come l’edilizia, l’industria, gli alberghi e il turismo. Il resto dell’emigrazione si indirizzò verso le zone dell’Italia centro-settentrionale, in particolare verso il Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana; si trattava di contadini che nelle province di destinazione eseguivano lavori di carattere agricolo come la mietitura, la raccolta del grano, la monda del riso e la vendemmia.6E. De Simone, V. Ferrandino, L’economia sannita nel ventesimo secolo, Ed. FrancoAngeli, Milano, 2007, pagg. 168-170.
L’esodo più consistente si registrò, come è comprensibile, dalle campagne dove lo spopolamento trascinò con sé una serie di inevitabili conseguenze: ad abbandonare la terra, infatti, furono i giovani, i forti, i sani, coloro che avrebbero dovuto sostituire i loro padri nel lavoro dei campi. Troppe furono le famiglie contadine senza giovani e, quindi, senza futuro; per sopperire a tali carenze si ebbe anche una femminilizzazione dell’agricoltura, cioè un impiego sempre più massiccio di donne nel lavoro bracciantile, con un notevole calo del livello di produzione e del reddito e, in molte zone, con problemi di sottoccupazione.
Tutto questo, oltre a non mitigare l’alto indice migratorio della popolazione, provocò anche una graduale lacerazione delle famiglie. La vecchia società contadina ne uscì logora e disgregata, privata dei ricordi e delle tradizioni e lasciò il posto ad un sottoproletariato inquieto e qualunquista. Ad aiutare l’economia familiare furono chiamati perfino giovani in età adolescenziale – talvolta in età infantile – che vennero utilizzati nel lavoro agricolo, ceduti temporaneamente ad alcuni signorotti, piccoli proprietari terrieri. Quantomeno, nella famiglia di destinazione, dove questi schiavi-bambini vivevano in umide stalle o in ricoveri improvvisati, avevano l’assicurazione di un pasto caldo e dello stretto necessario per la loro sopravvivenza; cosa che non era affetto scontato nelle loro famiglie di origine. Nacque così il “mercato dei valani”, un fenomeno abbastanza diffuso nella zona della Valfortore.
Il mercato dei valani
L’analisi della difficile condizione economica in cui versavano le classi contadine del Sannio negli anni ’50 non può prescindere da un fenomeno poco conosciuto ma di grande rilevanza sociologica che è il “mercato dei valani”. Su tale fenomeno vi è una scarsa documentazione scritta sebbene vi fossero numerose testimonianze orali soprattutto presso i ceti sociali contadini della zona. Si tratta di una vera e propria compravendita di schiavi-bambini che avveniva attraverso la loro pubblica esposizione nella città di Benevento, capoluogo della provincia sannita.
I valani erano garzoni che lavoravano nei poderi: stallieri, bifolchi, addetti al bestiame; abitualmente giovani adolescenti abbandonati, figli di giovani ragazze sole e abusate o di famiglie in stato di estrema indigenza economica.7Il termine valano (e i sinonimi gualano, ualano), di probabile origine longobarda, deriva dal tedesco wald (bosco). Successivamente sarebbe stato latinizzato in Galdo o Gualdo per indicare paesi di origine boscosa: Gualdo Tadino, San Bartolomeo in Galdo.
Questi giovani schiavi-bambini, fino agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, venivano allontanati dalle loro famiglie di origine – che il più delle volte non aveva i mezzi per il loro sostentamento – ed erano affidati a proprietari terrieri che li utilizzavano come forza-lavoro in agricoltura e nelle campagne sannite.8Il fenomeno, tollerato per anni, giunse alla ribalta nazionale a seguito di un esposto-denuncia dell’avv. Ciccio Romano e del successivo interessamento degli organi di stampa nazionali che fecero emergere uno scandalo fino ad allora sottovalutato e sottaciuto. Rappresentavano una specie di merce in cambio; il loro lavoro veniva acquistato in cambio di una modesta somma di denaro o, addirittura, dietro pagamento in natura (sacchi di grano o altri generi alimentari). La consuetudine della pubblica compravendita, che si teneva il giorno di Ferragosto, in occasione della ricorrenza della Madonna dell’Assunta, nella piazza Orsini, di fronte al Duomo di Benevento, rimase in vigore fino agli inizi degli anni ’60. Ovviamente il lavoro minorile era scarsamente retribuito, spesso la rimunerazione di un intero anno di lavoro, corrispondeva al salario giornaliero di un lavoratore maschio adulto.

Il bambino una volta comprato, cominciava il lavoro il giorno 8 settembre, ricorrenza della natività della Beata Vergine Maria che non a caso fu eletta Protettrice dei valani. Il ragazzo da quel giorno si allontanava dalla famiglia che poteva riabbracciare solo quando il padrone glielo avesse concesso, e mai prima di un anno. Il giovane garzone abitualmente viveva nelle stalle e sistemava il suo giaciglio ricavandolo in quegli ambienti dove tra l’altro consumava anche il proprio pasto in contatto costante con il bestiame che aveva l’obbligo di accudire e senza entrare in rapporti con la famiglia del proprietario terriero.
La prima testimonianza dell’esistenza del mercato dei valani nella provincia di Benevento risale al periodo post-unitario quando le condizioni imposte dal nuovo Stato (aumento delle imposte, dei dazi e l’introduzione della moneta piemontese) avrebbero fortemente aggravato l’economia dei braccianti costretti a prestare i propri adolescenti per poter raggranellare qualche soldo.9L. Sangiuolo, Il Brigantaggio nella provincia di Benevento 1860-1880, Tip. De Martino, Benevento, 1975.
Da allora tale pratica rimase rimasta in uso fino a pochi decenni orsono. Ebbe solo una temporanea sospensione durante il periodo fascista: una sospensione più di facciata che di sostanza. Infatti, testimonianze dirette indicano che durante tutto il Ventennio e fino al 1943, i valani non vennero più ingaggiati sul sagrato del Duomo grazie ad uno stringente controllo poliziesco ma la compravendita, essendo ufficialmente proibita, proseguiva in maniera più discreta nei rispettivi comuni di appartenenza dei giovani garzoni e con l’aiuto di intermediari che procuravano la manodopera necessaria aggirandosi per le povere campagne sannite nell’intento di reclutare gli adolescenti da proporre ai proprietari agricoli.
«Fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso le famiglie dei contadini poveri che volevano collocare un figlio al lavoro conducevano i propri maschi, già dall’età di sette e otto anni, sul sagrato della chiesa e nella adiacente piazza Orsini dove un proprietario terriero, un colono, un massaro, un enfiteuta e chiunque avesse bisogno presso il proprio fondo di un garzone, di un bifolco, di un pastore, di un guardiano di capre o maiali, poteva sceglierne tra quelli esposti, visionarne la dentatura, osservarne le mani, valutarne le capacità e la forza fisica e, infine pattuire oralmente con i genitori le condizioni e le modalità di ingaggio».10E. Landi, Il mercato dei valani a Benevento, Ediesse, Roma, 2012, pag. 32.

Esistono numerose testimonianze sulla floridità di questo mercato che continuò a protrarsi fino agli inizi degli anni sessanta in un luogo simbolo di Benevento: piazza Orsini, nei pressi del Duomo di Benevento.
Le contrattazioni avvenivano alla luce del sole, addirittura a poca distanza dall’ufficio comunale di collocamento e nelle immediate adiacenze della sede della Confederazione dei Lavoratori, senza che questo destasse il minimo scandalo, la minima indignazione.

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[1] E. De Simone, V. Ferrandino, L’economia sannita nel ventesimo secolo, Op. cit., pagg. 144-145.
[2] Il contratto di compartecipazione rappresenta un contratto atipico, cioè non regolamentato in maniera organica né dal codice civile né da altre leggi dello Stato, che affonda le proprie radici in abitudini secolari. Tale contratto rappresenta una forma di esercizio congiunto dell’attività agraria e prevede che due soggetti si accordino per utilizzare i propri fattori produttivi per svolgere una coltivazione a carattere stagionale. Si tratta pertanto di un contratto di natura associativa con il quale il concedente mette a disposizione il fondo per coltivarlo insieme ad un altro imprenditore (compartecipante) al fine di dividere i prodotti ottenuti. Cfr.: M. Mancino, Latifondo e contratti agrari nel Mezzogiorno, Ed. Galzerano, Salerno, 1986.
[3] Nel gergo dialettale il “parzenale” (dal lat. Medievale “partionarius”), analogo di mezzadro, era colui che aveva un contratto a metà con il concedente. Cfr.: Dizionario enciclopedico Treccani.
[4] «Il Padrone qui è il vero padrone, che fa e disfà a suo piacimento e mantenendo sotto l’incubo dello sfratto il disgraziato fittavolo o mezzadro, riesce ad estorcergli canoni esosi e filze di regalie che il più delle volte equivalgono ad un secondo estaglio» da “Il Secolo Nuovo” del 26 aprile 1951.
[5] A. Campanella, Riforma agraria nel Fortore in “Il Secolo Nuovo” del 26 aprile 1951.
[6] E. De Simone, V. Ferrandino, L’economia sannita nel ventesimo secolo, Ed. FrancoAngeli, Milano, 2007, pagg. 168-170.
[7] Il termine valano (e i sinonimi gualano, ualano), di probabile origine longobarda, deriva dal tedesco wald (bosco). Successivamente sarebbe stato latinizzato in Galdo o Gualdo per indicare paesi di origine boscosa: Gualdo Tadino, San Bartolomeo in Galdo.
[8] Il fenomeno, tollerato per anni, giunse alla ribalta nazionale a seguito di un esposto-denuncia dell’avv. Ciccio Romano e del successivo interessamento degli organi di stampa nazionali che fecero emergere uno scandalo fino ad allora sottovalutato e sottaciuto.
[9] L. Sangiuolo, Il Brigantaggio nella provincia di Benevento 1860-1880, Tip. De Martino, Benevento, 1975.
[10] E. Landi, Il mercato dei valani a Benevento, Ediesse, Roma, 2012, pag. 32.
Antonella Selvaggio
Archeologa classica. Lavora presso l’Università del Salento.
Medico e scrittore. Ha all’attivo numerose collaborazioni con riviste di carattere storico. Ha pubblicato una Vita di San Leucio, il libro: “Da Casale a Comune” e la Storia della Parrocchiale Santa Maria Assunta di San Salvatore Telesino. Ha partecipato all’Antologia “Dieci Medici Raccontano”, che ha ottenuto il “Premio Rufolo 2019”. Premio Olmo 2009 per il romanzo storico «L’ultima notte di Bedò», è anche autore di alcuni saggi sulla Storia della Medicina tra cui uno studio sulla Depressione dal titolo «Il potere misterioso della bile nera, breve storia della depressione da Ippocrate a Charlie Brown». Nel 2024 ha pubblicato “Fu la peste” e “Islam a Telesia” per ABE Editore Napoli. Fondatore e Direttore Editoriale della Casa Editrice Fioridizucca.


Laurea magistrale in Lettere. Docente a Prato. Ha approfondito gli eventi storici che portarono alla “Marcia della fame” del 1957 nei comuni del Valfortore sannita. Ha scritto il “Catasto Onciario della Terra di San Salvatore”.

Scrittore, poeta e divulgatore culturale. Medico di continuità assistenziale. Autore di diversi saggi storici e racconti. Ha partecipato all’antologia “Dieci Medici Raccontano”. Fondatore del Premio Nazionale Olmo che tutti gli anni si svolge in Raviscanina (Ce).
Dottore in Lettere. all’Università di Salerno, indirizzo “storico medievale”. Si è poi laureata in Scienze della Formazione primaria all’Ateneo di Campobasso. Studiosa della storia della sua città. Lettrice instancabile di autori italiani e stranieri, si occupa della formazione di piccoli lettori e poeti. È insegnante nella Scuola Primaria da quindici anni. Ha sperimentato innovative metodologie di approccio alla lettura utilizzando le nuove tecnologie che hanno portato alla pubblicazione di una ricerca dal titolo: TIC e DSA. Riflessioni ed esperienze sulle nuove frontiere della pedagogia speciale, Ed. EriksonLive. La storia locale e la ricerca accurata le ha permesso di pubblicare anche un Saggio in storia medievale sull’assetto urbano e riorganizzazione del territorio della Benevento nei sec. XI e XII. Animatore culturale, scrive poesie per fermare in foto-scritte, attimi di vita.
Lorenzo Piombo, medico psichiatra, dirigente del Dipartimento Salute Mentale della ASL di Benevento. Ricercatore e studioso di storia. Vive e opera a Morcone.
Avvocato. Patrocinante in Cassazione. Scrittore di Storia Locale. Opera a Guardia Sanframondi.
Architetto e docente. Appassionato cultore di Storia Locale in Cerreto Sannita, città in cui vive. Ha come campi di interesse gli insediamenti abitativi sanniti. Collabora con il Blog dell’Istituto Storico del Sannio di cui è socio fondatore. È autore del saggio “Cominium Ocritum e le forche caudine: una storia
Studioso del ‘700 napoletano e dell’epopea di Federico II ha approfondito in modo particolare le influenza arabe sull’architettura napoletana. Studioso di suffisso e di religioni orientali.
Medico del Lavoro. Regista teatrale. Giornalista pubblicista. Fondatore di “Byblos”, la biblioteca del Sannio. Scrittore e divulgatore della storia e dei personaggi del Sannio, ha pubblicato “A tavola nel Sannio”, una guida ai ristoranti della provincia di Benevento; “Dietro la Leggenda” (2016), una raccolta di racconti ispirati a fiabe e a leggende del Sannio. Nel 2017 ha pubblicato “Samnes”, un romanzo storico sull’epopea sannita. Ha curato la trascrizione del manoscritto e la stampa dei tre volumi delle “Memorie storiche di Cerreto Sannita per Arcidiacono Nicola Rotondi”. Nel 2019 ha pubblicato “Guida alla Valle Telesina e al Sannio”. Ha pubblicato “Il delitto del pozzo dei pazzi”, un medical-thriller ambientato nel primo ‘900 nell’ospedale degli Incurabili di Napoli. È autore della “Storia di Cerreto dalla preistoria alla seconda guerra mondiale (2022) e di “Fiabe e Favole in cerretese”, edito da Fioridizucca. (2023).
È nato e vive a Castelvenere. Già docente di materie letterarie nella scuola statale, ha pubblicato diverse raccolte di liriche, pagine di ricerca letteraria, studi relativi alla cultura popolare. È presente in antologie, dizionari bio-bibliografici e testi scolastici. Appassionato si storia e di tradizioni locali, è membro di associazioni culturali nazionali. I suoi versi hanno ricevuto giudizi positivi da parte della critica e in concorsi letterari si è classificato ai primi posti.
Architetto, libero professionista. Si occupa di progettazione architettonica, interior design e aspetti legati all’architettura del paesaggio. Dal 2021 è Consigliere dell’ordine degli Architetti della Provincia di Benevento. Ha partecipato a Mostre sul restauro architettonico e a numerose iniziative riguardanti la promozione territoriale.
Insegnante, vive a Caiazzo. È Presidente del’Associazione Storica del Caiatino.
Cultore di storia locale e delle tradizioni del suo paese. Autore del saggio “Notizie storiche ed urbanistiche di Cerreto antica” in cui ha ricostruito l’antico borgo distrutto dal terremoto del 1688.
Originario di Castelvenere. Già dipendente del Miur ora in pensione. Appassionato di Storia locale ed animatore di gruppi per la diffusione della lingua e delle tradizioni di Castelvenere.
Nato a Napoli e residente in Piedimonte Matese. Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli e successiva specializzazione in Chirurgia generale all’Università di Modena è stato aiuto chirurgo presso l’ospedale civile di Piedimonte Matese e, dal maggio 1990, primario del reparto di Pronto Soccorso. Attualmente è pensionato. Dal 1° giugno 1978 è socio corrispondente dell’Associazione Culturale Italo Ispanica “C. Colombo – Madrid”. Negli anni 1972-73, in collaborazione con altri, ha pubblicato alcuni articoli specialistici su riviste mediche. Cultore di storia e tradizioni locali ha pubblicato studi su vari Annuari e collane dell’Associazione Storica del Medio Volturno (sodalizio del quale oltre che socio è stato in passato anche componente del consiglio direttivo) ed in altre riviste e quotidiani regionali.
Musicista. Maestro di clarinetto ed orchestrale. Studioso di storia della filosofia e del ‘700 napoletano. Esperto simbolista e autore di testi esoterico/filosofici.
Nato a Telese Terme ma originario di Amorosi è stato allievo del filosofo Massimo Achille Bonfantini. Laureato in Semiotica e Filosofia del Linguaggio presso l’Università l’Orientale di Napoli. Dedica le sue ricerche prevalentemente allo studio della filosofia e della psicologia dell’inconscio, come dei nuovi percorsi conoscitivi applicati alle neuroscienze. Ha pubblicato Cento petali e una rosa. Semiosi di un romanzo storico (Natan, 2016), Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni su Sebastiano Maturi (Natan, 2017) e, recentemente, il saggio dal titolo: Nel gioco di un’incerta reciprocità: Gregory Bateson e la teoria del “doppio legame” (Ediz. Del Faro, 2020).
Nato a Ponte, dove risiede. Dipendente del gruppo Ferrovie dello Stato. Cultore di storia locale con particolare attenzione al periodo medievale. Ha pubblicato “Ponte tra Cronaca e Storia”, “Domenico Ocone, quarant’anni di storia pontese…”, “Le Vie di Ponte tra Storia e Leggenda”. Collabora con varie associazioni culturali.
Farmacista. Dopo la laurea ha conseguito un master biennale e un corso di perfezionamento, approfondendo le conoscenze in ambito fitoterapico, micoterapico e nutraceutico, con la pubblicazione del lavoro di tesi sulla rivista di divulgazione scientifica di medicina naturale ‘Scienza Natura’ del Prof. Ivo Bianchi. Attivo nel sociale, è membro del Rotary Club Valle Telesina ed è amante dello sport e della natura. Innamorato del proprio territorio, ha iniziato a coltivare l’interesse per la storia locale.


Presidente dell’Associazione culturale “La Biblioteca del Sannio”, dottore di ricerca presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” con una tesi sulla metadatazione della cartografia storica. Giornalista e direttore di Canale Sassuolo. Già docente a contratto di Lingua e Cultura Spagnola e Global History, presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’ateneo vanvitelliano, è attualmente tutor di Storia Contemporanea e Storia dei Partiti e Movimenti politici.



Laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Dirigente amministrativa presso l’Università del Molise.
Dottore di ricerca in Ingegneria Elettronica ed informatica presso l’Università degli Studi di Napoli. Ha Svolto attività didattica presso l’Università Federico II. Vive a Telese.
Vive a Morcone. Presidente Italia Nostra Matese Alto Tammaro.
Maestro elementare, appassionato studioso e cultore di Storia Locale.
Biologo residente a Telese Terme. Cultore di storia locale con particolare riferimento alla storia del periodo sannitico. È autore del saggio “La Leonessa e il fenomeno luminoso nella grotta di Sant’Angelo” edito da Fioridizucca nel 2022.
Già sindaco di Caiazzo, dopo aver conseguito la maturità scientifica, rivolge il suo impegno politico alle battaglie del Partito Radicale, soprattutto nel campo della tutela dell’ambiente e in quello per una giustizia giusta. Nel 1980 viene eletto consigliere comunale a Caiazzo, città in cui vive, in rappresentanza della “nuova sinistra”. Nel 1982 aderisce alla Lega per l’Ambiente, promuovendo diverse iniziative per la tutela del fiume Volturno e per il recupero del patrimonio edilizio del centro storico di Caiazzo. Tra il 1987 e il 1994 è Presidente dell’Associazione Storica del Caiatino. Nel 1994 viene eletto sindaco di Caiazzo con la lista civica “Rinascita Caiatina”. Rieletto nel 1998, si adopera per una crescita socio-economica della città; realizza un programma pluriennale, che viene selezionato anche da “Sviluppo Italia” SpA per la costituzione di un Laboratorio di sperimentazione per lo sviluppo locale. Presidente dell’Associazione “Città Paesaggio” dal 2003, è coordinatore del progetto “Per una Carta dei paesaggi dell’olio e dell’olivo”, realizzato d’intesa con l’Associazione nazionale “Città dell’Olio”. Nel 2007 aderisce a Slow Food, dedicandosi soprattutto alla salvaguardia delle piccole produzioni agricole. Ha pubblicato con le Edizioni 2000diciassette: La Memoria e L’Oblio, un saggio sull’eccidio di Caiazzo durante l’ultimo conflitto mondiale.
Giornalista Pubblicista. Esperto di Enologia, collabora a diversi siti web del settore. Collaboratore del blog lucianopignataro.it è responsabile dell’Ufficio Stampa del Sannio Consorzio Tutela Vini.
Dottore in Storia. Autore di un saggio storico, conseguente a ricerca d’archivio, sul suo Comune dal titolo: Faicchio 1920 – 1946 dall’avvento del Fascismo alla nascita della Repubblica, 2016.
Promotore culturale dell’area di Faicchio. Dopo aver conseguito la maturità classica si è laureato in Economia. È dirigente d’impresa a Milano nel settore delle borse valori e mercati finanziari. Ha scritto diversi articoli sulla stampa finanziaria nazionale, tra cui il Sole 24 Ore ed Investire. È appassionato di cultura locale, ha vinto il premio Prosa IX Premio letterario dell’Associazione Storica del Medio Volturno. Titolare delle strutture ricettive “Magie del Sannio” ha dato vita anche al “Piccolo Museo privato di Faicchio Magie del Sannio”.
Giornalista professionista. Scrittore di romanzi e direttore di diverse testate radio televisive. Fondatore del sito: Neifatti.it
Esperta di Comunicazione Istituzionale; in particolar modo di Social Media Policy e e di politiche agroalimentari legate all’economia di piccola scala per Slow Food, in Campania e Basilicata. Suoi contributi in ambito associativo sono legati a tradizioni e culture della terra e del territorio. Ha effettuato training in storiografia in Francia.
Infaticabile animatore culturale dell’area del Caiatino e del Casertano. Allievo del prof. Galasso. Fondatore di Gruppi culturali dediti alla divulgazione della storia del Territorio, attualmente responsabile di Procedimento Unità Operativa Biblioteca civica e Archivio Storico del Comune di Caiazzo.
Medico ed esperto di storia della gastronomia.
Medico di Emergenza territoriale residente in Puglianello. Ha collaborato all’opera Dieci Medici Raccontano.
Studioso della storia del Risorgimento e cultore del periodo Borbonico, ha recentemente collaborato con un suo scritto all’antologia biografica dedicata a Michele Ungaro. Ha in corso un saggio su Sanchez De Luna, un Vescovo del ‘700.
Medico specialista in oncologia e cure palliative è autore principalmente di pubblicazioni scientifiche di settore in lingua inglese ed italiana. È stato inoltre relatore
Sannita di origini e toscano d’adozione. Medico anestesista, ha coltivato con interesse e particolarmente studiato la “Terapia del dolore”. Di tale disciplina è stato per lunghi anni docente all’Università di Siena. Ha avuto anche esperienze di insegnamento all’estero (Bobigny Paris nord, Accademia Russa delle Scienze mediche, Accademia Lettone di Scienze odontoiatriche). Ufficiale medico dell’Esercito italiano, è appassionato di esoterismo, di cultura e tradizioni popolari. E’ autore di saggistica. Ha recentemente pubblicato saggio su “Massoneria, relazioni umane e comunicazione tecnologica” edito da Fioridizucca edizioni.
Dottore in Legge ed autore di ricerche di Storia Locale. Ha partecipato al progetto “Un museo a colori” avente il fine di far conoscere il museo di arte ceramica di Cerreto Sannita. Le mansioni svolte sono state quelle di guida museale e bibliotecaria, e redazione di progetti e lavori di gruppo con gli altri volontari. Ha scritto un saggio nella Antologia dedicata al bicentenario della nascita di Michele Ungaro, edita dalla Società di Mutuo Soccorso di Cerreto Sannita.
Andrea Ciervo nato a Caserta il 12.10.1975. Presbitero dal 24 novembre 2012 già Laureato in Giurisprudenza alla Federico II, con una tesi di Diritto Ecclesiastico sui Risvolti dei Patti Lateranensi col prof. Mario Tedeschi…tirocinante poi presso Studio Notaro in via Mezzocannone di Napoli…consegue il Baccalaureato presso l’Aloysianum di Padova nel 2007 con una tesi sulla Religione in Immanuel Kant col prof. Secondo Bongiovanni. Si Laurea in Sacra Teologia presso la Facoltà Teologica dell’ Italia Meridionale sezione san Tommaso nel 2012 sempre “Summa cum laude”
Dottore in Archeologia e Scienze Storiche, ha svolto diverse campagne di scavo alla necropoli del Cigno a Macchia Valfortore (CB), con l’Università degli studi di Napoli Federico II e alla necropoli di Crocifisso del tufo a Orvieto (TR), con il Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano e l’ Università dell’Arizona. È attuale vice Presidente della Pro Loco di Sant’Agata dei Goti (BN) dove svolge anche la funzione di OLP per il Servizio Civile Universale. È giornalista tirocinante presso la testata QuasiMezzogiorno. Sì è occupato di alcuni ambiti di archeologia della produzione del Sannio caudino. Attualmente s’interessa alle istituzioni sociali e militari del Medioevo. È vice Presidente dell’Istituto Storico Sannio Telesino.
Medico di Pronto Soccorso ed Emergenza Cultore di Storia Locale ha scritto il saggio: Telesia 1349 Peste e Terremoto edizioni duemiladicessette, 2016, Cartoline da Telese ed. Unione Filatelica Beneventana, 2009; Castelvenere Valdese insieme a P. Carlo Ed. Realtà Sannita, 2016; Officine Massoniche e Vendite Carbonare in Area Sannita insieme a F. Pace, edito dall’ASMV nel 2019. Ha scritto nell’Antologia sulla vita di Michele Ungaro edito dalla Società di Mutuo Soccorso di Cerreto Sannita nel 2019.ha in corso di pubblicazione un libro di poesie. Dirige la collana di poesie della Casa Editrice FioriDiZucca. Presidente pro-tempore dell’Istituto Storico del Sannio Telesino. Premio Upupa 2017 e 2019 per gli studi di storia locale.