
Nella foto, progetto generale di case operaie tra via Latina e via Roma a Caiazzo. Erano alloggi unifamiliari con annesso orto. Come sorsero le case popolari in Italia? Case popolari: definizione data da Luigi Luzzatti (allora Ministro delle Finanze) alle case destinate ai ceti meno abbienti.
«Popolo per noi, perciò diciamo case popolari e non operaie, sono i proletari, i quali vivono di magri salari in quartieri luridi e in tetre mura che si devono trasformare mura, trasformare, risanare, abbattere; ma è popolo per noi anche l’artigiano indipendente, che sta poco meglio di questi suoi infelici compagni. È popolo di piccoli coloni, i piccoli proprietari rurali, i piccoli fabbricanti, è popolo l’infelice impiegato civile, l’infelice funzionario delle pubbliche amministrazioni. Ed è popolo l’operaio del pensiero (…il) maestro di scuola, (…lo) scrittore di giornali, e tante altre miserie intellettuali che conosciamo». (Luzzatti, 1902)
- 1903: Legge – L. n°254 del 31-3-1903 ha la finalità di venire incontro alla domanda di abitazione delle fasce più deboli
- 1919: TU sull’edilizia economico-popolare
- 1938: TU 24 marzo 1938, n.1165 sull’edilizia economico-popolare.
Gli Istituti Autonomi per le Case Popolari hanno avuto avvio con la prima legge promulgata in Italia per facilitare la costruzione di case popolari (legge n. 254 del 31-05-1903 per iniziativa dell’on. Luigi Luzzatti).
Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del secolo, diffuse in Italia forme nuove d’intervento dello Stato a beneficio dei ceti meno abbienti, senza trascurare l’effetto indotto sia su scala più propriamente sociale, sia come fattore di sviluppo economico.
Si voleva, con tale dispositivo, trasformare e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, applicando nel rapporto sociale il principio della solidarietà, informato a precise esigenze di giustizia distributiva.
Questo principio della solidarietà e della giustizia sociale emergeva chiaramente dalla lettura dell’art. 22 della legge n. 254 del 31.05.1903, che improntava l’iniziativa degli Istituti Autonomi non ad un interesse prettamente economico, ma ad una precisa volontà di intervenire nel sistema sociale, avendo di mira solo ed esclusivamente il “bene casa”.
All’inizio l’intervento pubblico nell’edilizia operò attraverso le strutture esistenti, ossia i Comuni (oltre alle Cooperative), che inquadrarono detta attività fra quelle delle nascenti aziende municipalizzate. Successivamente, con la separazione dei compiti delle aziende municipalizzate da quelli attinenti l’edilizia popolare, i protagonisti della politica edilizia pubblica diventarono gli Enti specificati nel T.U. n. 1165 del 1938.
I Comuni passarono quindi in una posizione secondaria, conferendo finanziamenti, aree e stabili ai nuovi Enti. Il capitale privato intervenne quasi sempre sotto forma di elargizione benefica, fatti salvi gli interventi diretti delle imprese per la costruzione di case per i propri dipendenti.