Tra il 2007 e il 2008, a Montesarchio (BN), identificata con Caudium, principale centro del Sannio caudino, è stato portato alla luce, in via La Marmora, un settore adibito a funzioni prettamente artigianali. Lo scavo è stato eseguito da Danilo Capuano per conto della Società Geomed s.r.l. e sotto la supervisione della Soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino e Benevento. La zona si colloca immediatamente a sud delle estreme propaggini della necropoli sannitica, di cui sono state scavate nel 2000 alcune tombe di V e IV secolo a.C., distribuite in maniera piuttosto rada. 
Qui sono state ritrovate nove fosse a pianta rettangolare, con lunghezza variabile tra i m. 6,00 e 7,20 e larghezza compresa tra i m. 2,70 e 3,00, caratterizzate dalla presenza sul fondo di uno spesso strato di concotto coperto da terreno frammisto a carbone e a frammenti ceramici combusti. Tali ritrovamenti sono stati interpretati come focolari all’aperto funzionali alla produzione di grandi contenitori ceramici. Il ritrovamento di molti frammenti di ceramica (pithoi in particolare) con pareti annerite e vari difetti di cottura, sembrano dare forza a questa ipotesi. Il tipo maggiormente attestato presenta labbro aggettante, collo cilindrico a parete concave, corpo espanso dotato di prese triangolari sulla spalla a fondo piano. La datazione di tali strutture, nonostante i contenitori siano caratterizzati da una lunga continuità d’uso, è stata collocata entro il VI secolo a.C. Alla base di questo scritto vi è lo studio dei materiali della Fornace I per poter, in futuro, avviare studi e confronti con analoghe strutture e simili ritrovamenti nella zona di Saticula Telesia.

Planimetria con ubicazione delle aree di scavo tra cui Via Lamarmora (7), in giallo sono evidenziate le necropoli, in rosso lo scavo dell’abitato. (L. Tomay, Indagini recenti, progetti di studio e valorizzazione in Rosso immaginario, il racconto dei vasi di Caudium, Napoli 2016, Fig.1 pag.23.)

La fornace I è stata interpretata come focolare all’aperto. Questo termine è stato adottato convenzionalmente per indicare un’area circoscritta, a cielo aperto, senza alcuna protezione e senza impianti strutturali fissi, dove i manufatti vengono cotti a contatto diretto con il combustibile, subendo una cottura breve, a temperatura bassa/media non uniforme, con rapidi e forti sbalzi. La posizione casuale del combustibile unita alla mancanza di un controllo del tiraggio aumenta l’irregolarità dell’andamento del fuoco. I manufatti sono posti direttamente sul terreno insieme al combustibile e lì avviene la cottura.

Focolare all’aperto, schematizzazione. (N. Cuomo di Caprio, Il focolare all’aperto, in Ceramica in archeologia 2: antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, Roma 2007, figura 159 p.505.)

Nonostante non imponga particolari vincoli e difficoltà di costruzione, essa presenta molte limitazioni: capienza limitata, elevata dispersione del calore, temperatura e rendimento termico basso e irregolare, macchie e colpi di fuoco sulla superficie del manufatto. Nel focolare all’aperto possono essere cotte sia le ceramiche da fuoco destinate a cuocere gli alimenti sia le ceramiche comuni. I risultati sono spesso scadenti, sebbene non manchino livelli qualitativi migliori.
È ora riportata la documentazione grafica della fornace I con una ipotetica ricostruzione del pithos basata sull’analisi dei reperti trovati all’interno del focolare. 

Foto della fornace da visuale SE
Rilievo Fornace I, scala 1:20
Ipotetica ricostruzione del pithos, in nero le sezioni dei reperti rinvenuti nella fornace

________________

Bibliografia

N. Ciervo, Una fornace di epoca arcaica a Montesarchio (Benevento), tesi di laurea (2019), relatore: Alessandro Naso (docente di “Etruscologia e antichità italiche”, Federico II di Napoli).
N. Cuomo di Caprio, Il focolare all’aperto, in Ceramica in archeologia 2: antiche tecniche di lavorazione e moderni metodi di indagine, Roma 2007, pp. 502-505.
L. Tomay, Indagini recenti, progetti di studio e valorizzazione in Rosso immaginario, il racconto dei vasi di Caudium, Napoli 2016, p.45 e p.57.



Nicola Ciervo

Dottore in Archeologia e Scienze Storiche, ha svolto diverse campagne di scavo alla necropoli del Cigno a Macchia Valfortore (CB), con l’Università degli studi di Napoli Federico II e alla necropoli di Crocifisso del tufo a Orvieto (TR), con il Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano e l’ Università dell'Arizona. È attuale vicepresidente della Pro Loco di Sant’Agata dei Goti (BN) dove svolge anche la funzione di OLP per il Servizio Civile Universale. È giornalista tirocinante presso la testata QuasiMezzogiorno. Sì è occupato di alcuni ambiti di archeologia della produzione del Sannio caudino. Attualmente si interessa alle istituzioni sociali e militari del Medioevo. È vice Presidente dell'Istituto Storico Sannio Telesino.