L’obolo telesino, noto in unico esemplare, è la moneta attribuita a Telesia. Non se ne conosce l’esatta provenienza e, con ogni probabilità, la sua coniazione risale alla fine della guerra pirrica quando Telesia, insieme a Caiatia (l’odierna Caiazzo) e ad altre città, divenne urbs foederata, ossia città alleata di Roma. 
Il reperto monetario attribuito alla zecca telesina riporta sul recto la testa di Minerva volta a sinistra, con elmo corinzio. Al rovescio è raffigurata una stella ad otto punte ed un gallo; accanto ad esso è riportata l’iscrizione in alfabeto osco retrogrado TERIS. 
L’unico esemplare conosciuto e riconducibile alla zecca di Telesia, è stato ritrovato a Cales (l’attuale Calvi Risorta) nella prima metà del 1800. La prima attribuzione di appartenenza a Telesia della moneta in oggetto avvenne in epoca borbonica ad opera di Giuseppe Fiorelli (1823-1896), archeologo e numismatico napoletano, fondatore della Scuola Archeologica di Pompei. 
La moneta fu posseduta dalla collezione Santangelo di Napoli il cui fondo, dopo l’Unità d’Italia, andò ad arricchire il Medagliere del Museo Archeologico di Napoli ove è tuttora custodita.

Obolo telesino

Il primo interrogativo riguarda l’epoca di datazione della moneta. Sotto questo aspetto c’è una sostanziale convergenza nell’attribuire al III sec. a.C. il periodo della sua immissione in circolo.
La storia narra che, intorno al 280 a.C., quando Taranto tentò di arginare l’espansionismo romano – e nella consapevolezza di non poter competere con l’esercito romano – invitò Pirro a capeggiare l’impresa.1Pirro (318-272 a.C.), fu re e condottiero dell’Epiro, una regione situata approssimativamente tra l’odierna Albania meridionale e la Grecia nord-occidentale. Il re dell’Epiro acconsentì prontamente e i Sanniti si ritrovarono quasi autonomamente a divenire suoi alleati.2E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Einaudi, Torino, 1985, p. 301.

La guerra, poi, ebbe il suo epilogo nel 275 a.C. quando i Romani, nei pressi di Maleventum, riuscirono a sopraffare le truppe epirote e a neutralizzare perfino i potenti elefanti, che fino a quel momento erano stati l’arma decisiva di Pirro. L’inevitabile sconfitta convinse l’esercito di Pirro a ritornare in patria e il villaggio in cui avvenne la battaglia, saldamente in mano romana, celebrò il fausto evento: fu ribattezzato Beneventum.
La disfatta greco-italiota produsse un sostanziale mutamento dello scenario politico. Le stesse città caudine, dopo aver subito una completa disintegrazione, divennero alleate di Roma e furono incoraggiate – se non costrette – ad abbandonare il Sannio e a formare una lega monetaria con le comunità confinanti dell’Italia occidentale. 

Le guerre pirriche (da Wikipedia)

In queste condizioni di grave sofferenza commerciale e, nel tentativo di dare nuovo impulso ad un’economia provata dalla tragedia della guerra, nacque la moneta unica. 
L’alleanza monetaria sorse principalmente per facilitare gli scambi commerciali venutisi a creare a seguito dei nuovi assetti politico-amministrativi conseguenti alla sconfitta di Pirro. Essa rappresentò, in definitiva, il principale strumento della penetrazione romana nei ricchi mercati della Campania meridionale. Infatti, nel III sec. a.C., gli oboli come quello di Telesia – recante nel dritto Pallade/Atena e nel rovescio il gallo con la stella – divennero particolarmente diffusi in tutta l’area della Campania settentrionale e in tutto il basso Lazio. Questa uniformità monetaria agevolò significativamente gli scambi commerciali, e l’obolo campano – che potrebbe essere considerato un vero e proprio antesignano dell’euro – cominciò a circolare presso diverse popolazioni.
Monete simili, infatti, si coniarono a Sessa (Sessa Aurunca), Caiatia (Caiazzo), Teanum (Teano), Aquinum (Aquino), Aesernia (Isernia) e Venafrum (Venafro).

Obolo di Teano
Obolo di Caiazzo

Durante tale periodo, il commercio tra le masse rurali sparse nei pagi, nelle villae, sui monti che affluivano alle fiere era particolarmente intenso. I mercati periodici (nundinae), le grandi piazze situate nei territori scarsamente urbanizzati del territorio, gli svincoli delle principali vie di comunicazione, divennero le principali vie di commercio. Le Nundinae3Nundinae: comp. di novem (nove) diem (giorno) indica il mercato presso i Romani che si svolgeva ogni nove giorni. avevano luogo ogni nove giorni ed erano frequentate prevalentemente da pagani (contadini abitanti del pagus), da una folla di coloni, schiavi, pastori e agricoltori che si incontravano per comprare o vendere derrate alimentari, utensili, ferri agricoli, animali ma anche per portare a compimento gli affari e le speculazioni commerciali.4N. Borrelli, Il numerario circolante negli antichi mercati della Campania in Numismatica, anno XII, 1946

Il luogo di localizzazione della Telesia sannitica, sede dell’omonima zecca, è tuttora oggetto di controversia presso gli studiosi. Alcuni la ritengono ubicata sulla sommità di Monte Acero, all’interno della fortificazione ivi esistente definita volgarmente “Mura delle fate”, altri, invece, la pongono nel territorio di Castelvenere. Tuttavia l’ipotesi più accreditata è che essa sia stata un vicus o un pagussituato in territorio pianeggiante, come dimostrerebbero i numerosi rinvenimenti di superficie e la necropoli in via Vagnara nell’attuale comune di San Salvatore Telesino.5G. D’Henry, Telesia in Bibliografia tipografica della colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche, n. XX, Anno 2011, pp. 376-392. All’epoca delle guerre pirriche, essa non viene nominata nei documenti a noi pervenuti; la sua prima menzione letteraria compare solo nel 217 a.C., in occasione della conquista cartaginese ad opera di Annibale.6«Hannibal ex Hirpinis in Samnium transit, Beneventanum depopulatur agrum, Telesiam urbem capit». T. Livio, Ab Urbe condita, lib. XXII, 13,1.

Per quanto concerne l’iconografia dell’obolo, è possibile ipotizzare un’ispirazione ellenistica particolarmente radicata presso i popoli campano-sannitici e una attinenza con le monete napoletane in bronzo, che rappresentano la valuta più diffusa in questo periodo. Non è però da escludere l’ipotesi di un’influenza tarantina, mirata ad attribuire origini spartane alle popolazioni sannitiche. È noto come in talune componenti cittadine prevalse un atteggiamento filo-tarantino.
Le monete venivano coniate per fusione, introducendo del metallo fuso all’interno di uno stampo di terra refrattaria recante in incavo l’impronta del pezzo da fondere o per coniazione per mezzo della quale sul conio era riportata l’impronta del pezzo da riprodurre. Il conio principale era quello fisso e rappresentava il dritto della moneta su cui un forte colpo di martello imprimeva l’impronta mentre l’altro, mobile, era tenuto da una tenaglia. Le monete venivano poi rifinite a mano.
Molto frequente, infine, sulle monetazioni delle colonie latine della prima età del III sec. a.C., è la figura di Pallade/Atena, così come l’immagine ricorrente del gallo, emblema della vigilanza, del legame con il mondo contadino e della forza nel difendere il proprio territorio.

da: G. Fiorelli, Monete inedite dell’Italia antica [7]

Caratteristiche dell’obolo telesino

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Note:
[1] Pirro (318-272 a.C.), fu re e condottiero dell’Epiro, una regione situata approssimativamente tra l’odierna Albania meridionale e la Grecia nord-occidentale.
[2] E. T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Einaudi, Torino, 1985, p. 301.
[3] Nundinae: comp. di novem (nove) diem (giorno) indica il mercato presso i Romani che si svolgeva ogni nove giorni.
[4] N. Borrelli, Il numerario circolante negli antichi mercati della Campania in Numismatica, anno XII, 1946.
[5] G. D’Henry, Telesia in Bibliografia tipografica della colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche, n. XX, Anno 2011, pp. 376-392.
[6] «Hannibal ex Hirpinis in Samnium transit, Beneventanum depopulatur agrum, Telesiam urbem capit». T. Livio, Ab Urbe condita, lib. XXII, 13,1.
[7] G. Fiorelli, Monete inedite dell’Italia antica, Tip. Virgilio, Napoli, 1845, pp. 20-21.



Emilio Bove

Medico e scrittore. Ha all’attivo numerose pubblicazioni tra cui una Vita di San Leucio, dal titolo «Il lungo viaggio del beato Leucio», edita nel 2000. Ha pubblicato nel 1990 «San Salvatore Telesino: da Casale a Comune» in cui ripercorre l’evoluzione del suo paese dalla nascita fino alla istituzione del Comune. Ha scritto il romanzo-storico «L’Ultima notte di Bedò», vincitore del Premio Nazionale Olmo 2009: la storia di un eccidio nazista perpetrato nell’ottobre 1943. Nel 2014 ha scritto la storia della Parrocchiale di Santa Maria Assunta con la cronotassi dei parroci. È autore di un saggio sulla storia della depressione: «Il potere misterioso della bile nera, breve storia della depressione da Ippocrate a Charlie Brown». Ha partecipato al volume "Dieci Medici Raccontano", vincitore del Premio Letterario Lucio Rufolo 2019. Nel 2021 ha pubblicato «Politica e affari nell'Italia del Risorgimento. Lo scontro in Valle telesina. Personaggi e vicende (1860-1882)» e nel 2024 i saggi «Fu la peste: maghi, ciarlatani, taumaturghi, guaritori. Epidemie in Italia e nel Sannio» e «Islam a Telesia, le incursioni arabe e saracene nel Sannio longobardo» editi da ABE Napoli. Collabora con diverse riviste di storia. Presidente dell’Istituto Storico Sannio Telesino è Direttore Editoriale della Casa editrice Fioridizucca.