
L’avanzare dell’età mi ha stimolato il conoscere caratteristiche di argomenti diversi.1Per Cerreto e Pietraroja, ad esempio, ho appreso di manufatti architettonici, commemorativi, apotropaici e scaramantici; cfr. R. Di Lello, in “Almanacco”, Istituto Storico Sannio Telesino (ISST) 2020 (1), 2021 (3), 2024 (1), passim. Nel 1943, durante l’ultima guerra, da rifugiato in montagna, a San Potito Sannitico, udii il vocabolo “angìnu”, “piròcca”, “vingiàstru”, “mazzòcca”; l’ho riudito da studentello convittore a Cerreto Sannita, negli anni Settanta a Pietraroja e nel 1983 a Guardia Regia. Ho indagato, finalmente, dall’inizio dei miei 89 anni, per apprenderne l’eventuale importanza e ho acquisito qualcosa che mi sembra non superfluo riportare, al solito in breve e “a la bona”– cioè in modo semplice – per il lettore interessato e perché voglia aggiustarvi inesattezze e ampliare il testo. Ebbene, sul massiccio del Matese,2Per il territorio, cfr. Dante B. Marrocco, Piedimonte Matese, ivi, ASMV, 1980, cap. XXVI, Il Matese, pp. 445-477. sito in due regioni e quattro province, “angìnu, piròcca, vingiàstru e mazzòcca” sono, in genere, varianti dialettali del “bastònu” – bastone – e ne indicano nel particolare, per forma e origine: il tipo flesso in cima e quasi sempre adunco, l’esemplare con apice a pera, la bacchetta di vinco, la mazza grossa e con grande estremità tondeggiante. Questi arnesi, in legno, alti e con sommità elaborate, ai quali si allude comunemente, competono al pastore: i primi tre al “capràru” e al “pecuràru” – capraio e pecoraio –, il quarto al “vaccàru” – vaccaio –;3Per i detti termini in vernacolo ed altri, cfr. Bruno Migliorini, Vocabolario della lingua Italiana, Torino, G.B. Paravia & C., 1965, pp.139, 222, 799-800,1547,1602-1603. CC.VV., Nuovissimo Dardano. Dizionario della lingua italiana, Roma, Curcio, 1982, pp. 1829, 2335-2336. F. Galiani, Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, Napoli, Porcelli, tomo primo, 1783, p. 17. Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano italiano, Torino, 1887, Pozzuoli-Napoli, De Marco, 1993, pp. 26, 293. R. Di Lello, Aspetti della cultura agricola e pastorale sul Matese, “Annuario 1979”, Piedimonte Matese, Associazione Storica del Medio Volturno, 1979, p74 in 64-85. AA.VV., Guardiaregia, a c.d. Pietro Vecchiarelli, Campobasso, Lampo Ed., 1982, pp. 95 e vid. pp. 98 e 129. Elena Cofrancesco, La parlata cerretese ‘L c’rratèen, Cerreto Sannita, Associazione Socio Culturale Cerretese, 2°, 2002, pp. 274 e 277, 58, 70,68. Pierino Bello, Dizionario del dialetto di Pietraroja, Pietraroja, Pro loco, 2005, pp. 29, 177 , 272, 277. da quando, perché, come? Vediamo! E al riguardo mi pare convenga partire da lontano. Nicola Rotondi, colto arcidiacono di Cerreto, ha sostenuto, in un suo manoscritto del XIX secolo, poi dato alle stampe, che la pastorizia, procedendo da Abele, secondo figlio di Adamo primo uomo, era passata ai patriarchi nati da Set, il terzo figlio, e da quelli ad ogni popolo della terra. In più, nella Bibbia non poco e già nella Genesi, e in altre opere, si legge di piccolo bestiame, di greggi, di pastori e, altresì, di sacerdoti e di faraoni; si legge di bastoni, di mazze, di verghe, di vincastri e di bacoli, con funzione di difesa, di lavoro, di protezione e guida del gregge, di armi e d’insegna di comando e dignità.4Cfr. Nicola Rotondi, Memorie storiche di Cerreto Sannita, ms., 1869 – 1875, a c.d. Antonello Santagata, San Salvatore Telesino, Fiori di Zucca Ed., 3, 2019 e 2023, 1, p. 163. La Sacra Bibbia, Roma, CEI, 1974, pass; Nicolas Grimal, L’antico Egitto, I, Milano, Corriere della Sera, 2004, pp. 5, 24, 25, 28-30. B. Migliorini, 1965, pp. 222,799-800,1268. Versione di episodio significante rammenta che Mosè, menando al pascolo le pecore del suocero, sacerdote in Palestina, giunse sull’ Oreb, il Monte di Dio, gli si rivelò il Signore in mezzo ad una fiamma e gli disse: “Io ti mando dal faraone, fai uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti”; Mosè rispose che non l’avrebbero creduto né ascoltato; allora il Signore, in collera contro Mosè, disse: “Che hai in mano?” Mosè rispose: “Un bastone”; Dio riprese: “Terrai in mano questo bastone con il quale compirai prodigi”; Mosè obbedì e “col bastone di Dio” fece prodigi.mfn]Cfr. La Sacra Bibbia, 1974, Esodo, III: 1-2, 4, 6 e 10; IV: 1-4, 17 e 20; pass.[/mfn] Altra versione eloquente rievoca che Davide, pecoraio da ragazzo e poi re d’Israele, inneggiò al Signore che, suo “pastore”, lo forniva di tutto: “su pascoli erbosi” lo faceva riposare; “ad acque tranquille” lo conduceva; lo rinfrancava; lo guidava “per il giusto sentiero”; nel cammino “in una valle oscura” lo liberava dal timore d’ogni male, perché era con lui; il suo “vincastro” e il suo “bastone” gli davano sicurezza”.5Cfr. La Sacra Bibbia, 1974, Primo libro di Samuele, capp. 16 e 17; Secondo libro di Samuele, cap. 3. Salmi, Salmo 22, diDavide, 1- 6. Il bastone di Dio– e il vincastro indicavano: l’uno il potere divino e l’altro quello pastorale.

Divinità e sovrani apparivano, nell’arte figurativa, col bastone, simbolo di potere, creduto talismano, di varia prominenza e con vertice modellato o ad uncino, o curvo, o arrotondato, o piriforme. Genti che affacciavano sul Mar Mediterraneo e a confine, utilizzavano, di consueto, il menzionato attrezzo.6Tanto, da immagini di antichi bastoni. Cfr. anche AA.VV. Dalla preistoria all’antico Egitto, Roma, La biblioteca di Repubblica, 2004, figg. a pp. 226, 456, 560, 664, 670. Nicolas Grimal, 2004, figg. 5, 43, 44, 52, 54. AA. DD., a c.d., Il libro dei morti EE. DD. pass. R. Di Lello, Esempi in foto n.1 nel testo. Per le genti del Sannio, agricoltori e pastori, l’allevamento ovino era più importante di altre industrie, a motivo della necessaria produzione di lana, latte e derivati, talché, col sopraggiungere del freddo invernale, i pecorai “percorrevano con i loro greggi lunghe distanze per raggiungere zone di pascolo in pianura”7E.T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Giulio Einaudi, 1985, pass. e pp. 55,56,72-74,79. Per insediamenti sul Matese, cfr. Id., ibid., pass. Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp 163-168 AA.VV., Sepino Archeologia e continuità, Campobasso, Ed. Enne, 1979, pp. 5-31. AA.VV., Sannio Pentri e Frentani dal VI al I sec. A.C. Roma, De Luca Ed., 1980, pass. Nicola Mancini, Raviscanina, Piedimonte Matese, ikona, 1998, pp.5-21. Alberico Boiano, La ricchezza delle pecore, Napoli, Guida Editori, 2022, pp. 19-24. Lorenzo Morone, Dall’Urtz al santuario italico di Cerreto Sannita, dalle case sparse di Vallantico a Telesia, in “Almanacco”, Telese, ISST, 08/02/2025. Id., La bussola di Caia Borsa, in “Almanacco”, Telese, ISST, 22/03/2025. e praticare scambi economici e culturali con i residenti. Circa i bastoni e in mancanza di reperti allo stato della ricerca, ho pensato che i pastori del Matese abbiano rifinito negli aspetti soliti le cuspidi di pertiche,8Da immagini di antichi bastoni e da: AA.VV., 2004, figg. a pp. 226, 456, 560, 664, 670, Nicolas Grimal, 2004, figg. 5, 43, 44, 52, 54. AA. DD. a c.d., Il libro dei morti, EE. DD., pass. quando non semplici e robuste di natura. Nel Medioevo, la pastorizia, in più larga misura l’ovina, fu pratica fondamentale in special modo nelle zone rurali; sul Matese, d’altro canto, al di là dei miglioramenti vi furono momenti di crisi, pure a cagione di danni conseguiti a transumanza.9Cfr. Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp. 163-168. AA.VV., 1979, p. 31. AA.VV., Le vie della transumanza, Foggia, Leone, 1984, pass. Il bastone, indispensabile e ordinario, conservò lunghezza e cima nelle forme descritte e il “vingiastro” diventò – potremmo dire –, più menzionato da quando Dante Alighieri poetò:
Lo villanello a cui la roba manca,
si leva, e guarda, e vede la campagna
biancheggiar tutta;
poi ritorna e,
veggendo ‘l mondo aver cambiata faccia
in poco d’ora, e prende suo vincastro
e fuor le pecorelle a pascer caccia”.10Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXIV, 7-15.
Il bacolo, rimase strumento ecclesiastico, come dimostra l’utensile ad apice arrotolato di Antonio Moretta, dal 1458 al 1482 vescovo della diocesi di Alife.11Cfr. AA VV, Alife, Ivi, Amministrazione Comunale, s.d., pp. 22-23 e lastra tombale del vescovo Moreta.

Nell’Evo Moderno, in Cerreto e “paesi vicini” la “industria delle pecore” è stata florida, di migliaia di capi, però a non pochi venne in mente il detto: “Chi ha animali, or ride, or piange”, quando, nel 1676, “per l’usato malore messosi nelle lor pecore” i proprietari “videro tornare quasi il niente” del molto bestiame mandato a transumare in Puglia;12Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp. 163-168. e nella “vecchia e nuova Cerreto”, prima e dopo l’orrendo terremoto del 1688 un detto ha sostenuto: “Chi nun tene pecure, nun perde” –Chi non possiede pecore non perde mai–;13Domenico Franco, La pastorizia e il commercio della lana nella vecchia e nuova Cerreto, in “Samnium”, Napoli, Istituto della Stampa, XXXVIII, 1965, III-IV e XXXIX,1966, I-II. Pasqualina Di Lello Manzelli, Alcune tradizioni popolari in Pietraroia, “Annuario 1975”, Napoli, Laurenziana, 1975,pp. 84-86, 90-91, 95, in 82-98. R Di Lello, 1979, p.72. il bastone, comunque, ha trovato sempre utilizzo, nelle forme consuete, anche se qualche volta per branchi esigui di ovini. Nel ‘700, il sacro pastorale ad estremità inclinata, lo si è potuto ammirare tenuto da un vescovo effigiato a Cerreto;14Cfr. Nicola Vigliotti, Renato Pescitelli, La ceramica di Cerreto Sannita e San Lorenzello, San Lorenzello, ECSG, 2007, p. 88, “Acquasantiera, decorata a rilievo con Vescovo”. nei secoli successivi, il bacolo, con sommità ricurva, verrà ancora portato, in solenni occasioni e in segno di dignità, dal vescovo,15Cfr. B. Migliorini, 1965, p. 982. dal cardinale e dal papa, pastori del gregge cattolico.

Ai giorni nostri e in relazione a pastorizia e attività connesse, non mancano informazioni che toccano il secolo scorso e il presente. A fine estate del 1903 Gabriele D’Annunzio ha composto in versi che a “settembre”, essendo “tempo di migrare” in transumanza, i pastori “lascian gli stazzi” di montagna, e “scendono all’Adriatico”, perciò rinnovano la “verga d’avellano” e, guidando il gregge, “vanno pel tratturo antico al piano […] su le vestigia degli antichi padri”.16Gabriele D’Annunzio, I pastori, 1903, 1-13. Per il bastone tradizionale, è opportuno anticipare che, col trascorrer del tempo, sul Matese s’è cimentato, oltre al pecoraio, qualche contadino, tale da sempre o non più pastore. Negli anni Settanta, zi’ Gabriele Bello, domiciliato a Pietraroja in località Ariola, mi fece dono di due “angini”, da lui manufatti da “ullana” – nocciola, avellano –, e da “vrignale” – corniolo –, ciascuno con inciso, sul vertice a becco, un suggestivo volto d’uomo o di donna; li riporto qui in foto, insieme ad un terzo di anonimo artefice.17Vedi R. Di Lello, 1979, fig. 19.
Alquanto dopo vidi in Pietraroja, da Lucia Falcigno, gli esemplari collezionati dal genitore Domenico. Egli aveva scritto tre preziosi articoli su pastorizia, produzione e transumanza, e vi fa vedere dieci relative immagini, una delle quali, qui a capo di titolo, propone, munito di uncino, un “Pastore con cane e gregge sulla Civita”, località a monte del paese; altra, di un calendario del 2015, mostra, qui nel dettaglio, un pastore che tiene con la destra un artistico uncino con volto,18Cfr. Domenico Falcigno, La pastorizia: ieri ed oggi, in “Storia di tutti i giorni vecchi discorsi”, Pietraroia, Pro Loco-Comune,2005, pp. 13-15; Id., Il formaggio pecorino, “ibid.”, 2006, pp. 21-24; Id., Pastorizia e transumanza, con foto, “ibid.”,2011, pp. 2-7. Calendario, Pietraroja che fu. Antichi mestieri, con foto, 2015”, Pietraroja, Pro Loco. opera, è probabile, del nominato Gabriele Bello.

Il 20 ottobre 2017, nel castagneto in località Filette, a Pietraroja, m’imbattei in Antonio Cusanelli che, molto avanti negli anni e seduto davanti casa, filava spago; lo fotografai e mi confidò d’essere stato custode di pecore e di agnelli da quando aveva nove anni, al pari di coetanei, ed uno degli ultimi, nel 1970-‘80, a far transumanza in Puglia e d’avervi imparato, durante le soste, a confezionare “cisti re vinci” – cesti di vimini –, “funi e bastuni”.19Ref. A. Cusanelli, Pietraroja, 20 ottobre 2017, ore 12.30. Il 15 aprile 2023, da Anna Luisa Bello, di Pietraroja, ho ricevuto l’immagine di quattro “bastuni”, due con uncino legato al tronco in attesa della stagionatura; suo nonno, Antonio Cusanelli, domiciliato in località Filette, li aveva tratti da germogli di castagno, flessibili eppure resistenti, per uso personale e per doni eventuali.20A.L. Bello, 15, 4, 2023, ore 14,32 e tel. pass.

Il 10 marzo 2025, sempre Anna L. Bello mi ha inviato due foto dei bastoni collezionati, datele da Lucia Falcigno; una di esse mette in evidenza una “mazzocca”, portata a compimento con testa grossa e tondeggiante, purtroppo corrosa, e una forma, approssimativa, forse di “pirocca”.21A.L. Bello, ref. con foto, per iPhone del 10,3, 2025, ore 17,12.
Dal 4 al 6 luglio 2025, ho trovato, da Nicola De Carlo, da Domenico Varrone e da Giuseppe Iamartino, in Pietraroja, tre rare “pirocche”, di rispettive misure decrescenti e dal De Carlo mi ha sorpreso un bastone incompleto; ho fotografato tutto il materiale e osservando l’arnese incompiuto ho dedotto che il pastore, eliminati i rami e parte del nodo in comune, somigliante a collo e testa bovina, avrebbe potuto ricavare il culmine di “pirocca”. E non è tutto: Giovanni Mannato, di Pietrarojia, mi ha reso noto d’aver “fatto una pirocca con nodo del vrignale e un vingiastro con salice”.22G. Mannato, tel, 0824 868044, ref. in Pietraroja, Piazza Municipio, 6-7-2025, ore 12.39.

Infine, in appunti sulla matesina cultura agricola e pastorale, messi insieme nel corso di un’indagine sul campo, integrati con testi e foto e quindi editati, ma soltanto in parte,23Cfr. R. Di Lello, 1979, cit. Id. Aspetti dell’arte agro-pastorale nel Beneventano (Esperienze e prospettive), “Rivista Storica Del Sannio”, Benevento, De Toma, I, 2, 1983, pp. 43-52. ho riletto che, “per tradizione secolare”, il pastore di Pietraroja, così come quello di altri paesi dell’area matesina, costruiva “da sé” con legno o di nocciola, o di corniolo, o di castagno, o di vinco, bastoni ”quanto la propria altezza, o più o meno di poco”; ne arrotondava la cuspide, oppure l’incurvava e la teneva legata qualche tempo per la “stagionatura”, se di castagno, altrimenti e più di frequente, se di nocciola o di corniolo, integrava più agevolmente la biforcazione di due rami contigui mozzandola, accorciandone uno e manipolandolo “a becco”. Il bastone, ripeto, in generico dialetto “bastònu” e nello specifico “angìnu, piròcca, vingiàstru e mazzòcca”, era, cosi come altri oggetti, un mezzo di lavoro personale da rispondere a esigenze e caratteristiche individuali e, perciò, da esser “fatto con le sue stesse mani dal pecoraio” e in giusta misura. Perché era di legno, lungo e con estremità elaborata? Perché risultava: garantito dalla tradizione, economico, di abituale e semplice fattura, resistente, di facile e comoda presa, leggero e adeguato al molteplice impiego, quale? Oltretutto: il sostegno della persona, nella deambulazione, specialmente nei lunghi tragitti; il “menare allineate le pecore fuori,” in transumanza, in pascoli verdi e verso limpide acque abbondanti; il raggrupparle all’ombra nelle ore calde; “l’appoggio e il riposo, sempre all’erta” nel sorvegliarle in sosta, tenendolo puntato a terra, col palmo delle mani “sopra il tunno” – sul tondo –, e col mento sul dorso delle stesse; il difendere “la mansueta pecorella” da bestie aggressive, l’ “acchiappare” e trarre a sé quella fugace da mungere o l’agnello caduto in un corso d’acqua o in un fosso; il “trattenere al collare il cane” che s’avventava; il “portare a spalla una mappata” – un fagotto –, il tirar giù dall’albero qualche rametto con della frutta. Ed è probabile che il pastore, pur se inconsapevolmente, abbia talvolta valutato miracoli i risultati positivi ottenuti col bastone; non solo: forse per questo e per evidenziare la propria importanza socio-economica e la conseguente autorità, nonché la capacità artistica, nei momenti di riposo abbia impreziosito, con intagli, l’insostituibile, inseparabile, simbolico compagno di lavoro e di sopravvivenza e tanto non mai per lucro, ma anche al fine di farne eventuale dono, sincero ed eloquente.
In conclusione, oso pensare che perfino un umile oggetto possa costituire motivo e argomento di storia; o no?
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Note:
[1] Per Cerreto e Pietraroja, ad esempio, ho appreso di manufatti architettonici, commemorativi, apotropaici e scaramantici; cfr. R. Di Lello, in “Almanacco”, Istituto Storico Sannio Telesino (ISST) 2020 (1), 2021 (3), 2024 (1), passim.
[2] Per il territorio, cfr. Dante B. Marrocco, Piedimonte Matese, ivi, ASMV, 1980, cap. XXVI, Il Matese, pp. 445-477.
[3] Per i detti termini in vernacolo ed altri, cfr. Bruno Migliorini, Vocabolario della lingua Italiana, Torino, G.B. Paravia & C., 1965, pp.139, 222, 799-800,1547,1602-1603. CC.VV., Nuovissimo Dardano. Dizionario della lingua italiana, Roma, Curcio, 1982, pp. 1829, 2335-2336. F. Galiani, Vocabolario delle parole del dialetto napoletano, Napoli, Porcelli, tomo primo, 1783, p. 17. Raffaele Andreoli, Vocabolario napoletano italiano, Torino, 1887, Pozzuoli-Napoli, De Marco, 1993, pp. 26, 293. R. Di Lello, Aspetti della cultura agricola e pastorale sul Matese, “Annuario 1979”, Piedimonte Matese, Associazione Storica del Medio Volturno, 1979, p74 in 64-85. AA.VV., Guardiaregia, a c.d. Pietro Vecchiarelli, Campobasso, Lampo Ed., 1982, pp. 95 e vid. pp. 98 e 129. Elena Cofrancesco, La parlata cerretese ‘L c’rratèen, Cerreto Sannita, Associazione Socio Culturale Cerretese, 2°, 2002, pp. 274 e 277, 58, 70,68. Pierino Bello, Dizionario del dialetto di Pietraroja, Pietraroja, Pro loco, 2005, pp. 29, 177 , 272, 277.
[4] Cfr. Nicola Rotondi, Memorie storiche di Cerreto Sannita, ms., 1869 – 1875, a c.d. Antonello Santagata, San Salvatore Telesino, Fiori di Zucca Ed., 3, 2019 e 2023, 1, p. 163. La Sacra Bibbia, Roma, CEI, 1974, pass; Nicolas Grimal, L’antico Egitto, I, Milano, Corriere della Sera, 2004, pp. 5, 24, 25, 28-30. B. Migliorini, 1965, pp. 222,799-800,1268.
[5] Cfr. La Sacra Bibbia, 1974, Esodo, III: 1-2, 4, 6 e 10; IV: 1-4, 17 e 20; pass.
[6] Cfr. La Sacra Bibbia, 1974, Primo libro di Samuele, capp. 16 e 17; Secondo libro di Samuele, cap. 3. Salmi, Salmo 22, di Davide, 1- 6. Il bastone di Dio– e il vincastro indicavano: l’uno il potere divino e l’altro quello pastorale.
[7] Tanto, da immagini di antichi bastoni. Cfr. anche AA.VV. Dalla preistoria all’antico Egitto, Roma, La biblioteca di Repubblica, 2004, figg. a pp. 226, 456, 560, 664, 670. Nicolas Grimal, 2004, figg. 5, 43, 44, 52, 54. AA. DD., a c.d., Il libro dei morti EE. DD. pass. R. Di Lello, Esempi in foto n.1 nel testo.
[8] E.T. Salmon, Il Sannio e i Sanniti, Torino, Giulio Einaudi, 1985, pass. e pp. 55,56,72-74,79. Per insediamenti sul Matese, cfr. Id., ibid., pass. Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp 163-168 AA.VV., Sepino Archeologia e continuità, Campobasso, Ed. Enne, 1979, pp. 5-31. AA.VV., Sannio Pentri e Frentani dal VI al I sec. A.C. Roma, De Luca Ed., 1980, pass. Nicola Mancini, Raviscanina, Piedimonte Matese, ikona, 1998, pp.5-21. Alberico Boiano, La ricchezza delle pecore, Napoli, Guida Editori, 2022, pp. 19-24. Lorenzo Morone, Dall’Urtz al santuario italico di Cerreto Sannita, dalle case sparse di Vallantico a Telesia, in “Almanacco”, Telese, ISST, 08/02/2025. Id., La bussola di Caia Borsa, in “Almanacco”, Telese, ISST, 22/03/2025.
[9] Da immagini di antichi bastoni e da: AA.VV., 2004, figg. a pp. 226, 456, 560, 664, 670, Nicolas Grimal, 2004, figg. 5, 43, 44, 52, 54. AA. DD. a c.d., Il libro dei morti, EE. DD., pass.
[10] Cfr. Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp. 163-168. AA.VV., 1979, p. 31. AA.VV., Le vie della transumanza, Foggia, Leone, 1984, pass.
[11] Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXIV, 7-15.
[12] Cfr. AA VV, Alife, Ivi, Amministrazione Comunale, s.d., pp. 22-23 e lastra tombale del vescovo Moreta. [13] Nicola Rotondi, 1869,2019, I, pp. 163-168.
[14] Domenico Franco, La pastorizia e il commercio della lana nella vecchia e nuova Cerreto, in “Samnium”, Napoli, Istituto della Stampa, XXXVIII, 1965, III-IV e XXXIX,1966, I-II. Pasqualina Di Lello Manzelli, Alcune tradizioni popolari in Pietraroia, “Annuario 1975”, Napoli, Laurenziana, 1975,pp. 84-86, 90-91, 95, in 82-98. R Di Lello, 1979, p.72.
[15] Cfr. Nicola Vigliotti, Renato Pescitelli, La ceramica di Cerreto Sannita e San Lorenzello, San Lorenzello, ECSG, 2007, p. 88, “Acquasantiera, decorata a rilievo con Vescovo”.
[16] Cfr. B. Migliorini, 1965, p. 982.
[17] Gabriele D’Annunzio, I pastori, 1903, 1-13.
[18] Vedi R. Di Lello, 1979, fig. 19.
[19] Cfr. Domenico Falcigno, La pastorizia: ieri ed oggi, in “Storia di tutti i giorni vecchi discorsi”, Pietraroia, Pro Loco-Comune,2005, pp. 13-15; Id., Il formaggio pecorino, “ibid.”, 2006, pp. 21-24; Id., Pastorizia e transumanza, con foto, “ibid.”,2011, pp. 2-7. Calendario, Pietraroja che fu. Antichi mestieri, con foto, 2015”, Pietraroja, Pro Loco.
[20] Ref. A. Cusanelli, Pietraroja, 20 ottobre 2017, ore 12.30.
[21] A.L. Bello, 15, 4, 2023, ore 14,32 e tel. pass.
[22] A.L. Bello, ref. con foto, per iPhone del 10,3, 2025, ore 17,12.
[23] G. Mannato, tel, 0824 868044, ref. in Pietraroja, Piazza Municipio, 6-7-2025, ore 12.39. 24– Cfr. R. Di Lello, 1979, cit. Id. Aspetti dell’arte agro-pastorale nel Beneventano (Esperienze e prospettive), “Rivista Storica.