
Le origini di un nome
Immaginate di trovare, in un campo appena arato, una moneta logora che brilla a malapena. La prendete tra le dita, la pulite e vi accorgete che, sotto gli strati di ossido e di terra, riemergono linee e figure: un profilo, un’iscrizione, un simbolo. I toponimi sono un po’ come quelle monete antiche: alcuni hanno un conio leggibile e si riconoscono al tatto, altri hanno attraversato secoli di mani e di terreni, e ora sulla loro superficie rimane un intreccio quasi indecifrabile di tracce. Faicchio è una di queste monete consumate. Non rimanda a un paesaggio evidente, non invoca il nome di un santo, non richiama un’attività tradizionale. È, per chi lo sente, un suono assorto nella memoria collettiva. Nell’arco dei secoli, studiosi e dilettanti hanno sfregato questa moneta cercando di decifrarne i segni. Chi l’ha collegata al faggio (fagus), immaginando boschi di montagna; chi alla fava (faba), evocando orti e legumi; chi all’oppidum sannita Faifolae di cui scrive Livio; chi, infine, ha trasformato un motto attribuito a un generale romano – “Fabius hic”, “Fabio è qui” – in epigrafe fondatrice. Ogni lettura nasce da un’esigenza di riempire il vuoto semantico, ma ciascuna dice più di chi la formula che del toponimo stesso. Un nome non rivela la sua origine se viene forzato a corrispondere a ciò che sembra plausibile; bisogna, piuttosto, ascoltarne i bordi, osservare i luoghi, leggere le carte, mettere insieme frammenti di memoria e di suono. L’ipotesi presentata in queste pagine non smentisce l’intuizione dei locali che hanno sentito in Faicchio l’eco di un nome romano, ma la incanala in un percorso argomentato. Immaginiamo che Faicchio derivi da Fābīcula, diminutivo prediale della gens Fabia e denominazione di un piccolo podere assegnato alle famiglie gentilizie locali nel contesto della centuriazione augustea. Una villa rustica, una cisterna e un quartiere antico chiamato Faicchiola sarebbero i reperti materiali di quel possesso; le trasformazioni fonetiche del nome, dal latino al volgare campano, ne avrebbero conservato la radice. Per sostenerlo occorre far dialogare discipline diverse – filologia, epigrafia, topografia, linguistica storica e antropologia della memoria – nella convinzione che un toponimo è il crocevia tra la storia dei vincitori e le microstorie delle comunità. Solo attraverso un esercizio di pazienza filologica e di attenzione al paesaggio è possibile restituire a Faicchio la sua genealogia e dissipare le letture fuorvianti.

1. Fonti, tradizioni e primi strati del nome
1.1 Favicella e il mito delle fave
Molte spiegazioni popolari legano Faicchio alla fava, legume largamente coltivato nella valle. Questa idea prende corpo intorno a una presunta attestazione medievale del toponimo Favicella. Secondo la versione diffusa da alcune associazioni locali all’inizio degli anni 2000, il Catalogus Baronum – l’elenco dei feudi normanni redatto verso il 1151 – indicherebbe Favicella tra i possedimenti dei Sanframondo. Da Favicella si sarebbe passati a Faicchio per contrazione, e l’etimo verrebbe da faba. Ma una verifica filologica smentisce questa ricostruzione: le edizioni critiche del Catalogus leggono la voce incriminata come Finicella, un feudo toponomasticamente diverso che alcuni identificano con Civitella Licinio. Non esiste in alcun documento medievale un Favicella riferito a Faicchio. L’equivoco nasce da un’errata identificazione: la contrada Favicella di Faicchio è quindi un moderno fraintendimento.1Questa versione, come detto, riprende un’errata lettura delle fonti. Ad oggi, tramite gli stessi canali è riportata la notizia, ripresa probabilmente da uno studio dell’Unpli del 2004, che il termine Favicella si trovi in un elenco redatto in occasione della terza crociata. In realtà, seguendo le fonti, il borgo di Faicchio a partire dal periodo medievale e fino alla metà dell’800 era diviso in diversi quartieri, ognuno figlio della diversa stratificazione storica: quartiere Terra, quartiere San Luca, quartiere Valle, quartiere Faicchiola, quartiere Case Pedone. In seguito, la divisione territoriale del centro si è divisa in Via é copp’à e a Via é sott’, mantenendo la propria funzione campanilistica.
1.2 Faifolae: nome antico e confusione storica
Una tradizione locale ha collegato Faicchio all’antico oppidum sannita di Faifolae (anche Fuifola, Fagifulae), menzionato da Tito Livio nel libro IX dell’Ab Urbe Condita. L’autore narra che nel 305 a.C., durante la Seconda guerra sannitica, Faifolae fu assediata e distrutta dalle legioni romane nel quadro di una campagna sistematica contro le roccaforti dei Pentri e Caudini. Sulla base di una semplice assonanza, alcuni autori hanno ipotizzato che Faicchio possa essere l’erede diretta di quel centro. Tuttavia, la ricerca storica e archeologica più accreditata colloca oggi Faifolae sul colle di Montagano, in Molise, ben lontano dalla media valle del Titerno. Il richiamo fonico tra Faifolae e Faicchio ha dunque alimentato un’ipotesi di continuità che non trova conferma nei dati materiali né nei documenti. Si tratta, con ogni probabilità, di una costruzione postuma, sviluppatasi in ambito erudito per spiegare un toponimo la cui origine era divenuta opaca. Ma è soprattutto sul piano linguistico che il collegamento risulta infondato: non esiste alcun percorso fonetico regolare che consenta di derivare Faicchio da Faifolae, e nessuna forma intermedia è attestata nella documentazione medievale. La somiglianza tra i due nomi, pur suggestiva, si rivela alla prova dei fatti un’aberrazione interpretativa: non è la traccia di una continuità storica, ma il prodotto di una convergenza casuale tra suoni simili e memorie frammentarie.
1.3 “Fabius hic”: mito e antropologia
Tra le ipotesi popolari sull’origine del toponimo Faicchio, una delle più suggestive, ma anche delle meno fondate, è quella che lo fa derivare dalla locuzione latina Fabius hic, “Fabio è qui”. Secondo il racconto, Quinto Fabio Massimo dopo aver sconfitto Annibale, avrebbe inciso su una pietra il proprio nome a suggello della conquista, e quella formula si sarebbe trasformata nel nome del paese. Nessun frammento epigrafico né fonte antica conferma questa scena. Eppure il mito merita attenzione per ciò che rivela. Come spesso accade dove la memoria delle origini si è rarefatta, il vuoto lasciato dall’oblio viene colmato ricorrendo a figure emblematiche del passato: un console, un eroe, un santo. In questo orizzonte, l’invocazione Fabius hic, condensando in due parole la percezione collettiva della fine dell’oppidum sannita e dell’inizio della presenza romana, opera come un autentico mito di fondazione, attribuendo a un gesto simbolico l’atto costitutivo del villaggio e trasformando la violenza della conquista in un rituale di appropriazione. Questa dinamica, che rientra nei processi di sacralizzazione del territorio, trova un riscontro concreto nella prassi romana di marcare con cippi e iscrizioni i possessi dei veterani e, sedimentandosi nella memoria collettiva sotto forma di un hic inciso, suggella l’idea .che nominare significhi possedere, rendendo il mito coerente con l’esigenza di attribuire al paese un’origine netta, riconoscibile e legittimata. Sul piano strettamente linguistico, tuttavia, l’ipotesi non regge: non esiste un percorso fonetico regolare che conduca da Fabius hic a Faicchio; un esito atteso sarebbe semmai Fabico, e mancano comunque attestazioni intermedie nei documenti medievali che colleghino in modo plausibile la locuzione latina alla forma moderna. In questo senso, la leggenda non offre una spiegazione etimologica, ma riflette un bisogno di memoria: pone al centro la gens Fabia come agente fondatore, fa del nome inciso il dispositivo simbolico che sancisce la morte del vecchio abitato sannita e la nascita dell’assetto romano.
1.4 Il luogo dei faggi
Una delle ipotesi etimologiche più ricorrenti collega il toponimo Faicchio al latino fagus, “faggio”, ipotizzando una derivazione attraverso forme tardo-latine come fagetulum o fagitulum, con valore collettivo o diminutivo. Questa interpretazione è presente in fonti divulgative, araldiche e toponomastiche, tra cui il Dizionario di toponomastica UTET, e suggerisce che il nome indicasse in origine un “luogo dei faggi”. In alcuni casi si richiama come confronto il vicino Monte Faito, il cui nome deriva effettivamente da fagetum e presenta, nella forma volgare, lo stesso dittongo ai. Tuttavia, nonostante la somiglianza formale, l’ipotesi non regge nel caso di Faicchio, né sul piano geografico né su quello linguistico. Dal punto di vista botanico, il faggio europeo (Fagus sylvatica) cresce spontaneamente in Italia meridionale solo tra i 600 e i 1800 metri di altitudine; le faggete del Matese si trovano infatti oltre i 1000 metri. Il centro abitato di Faicchio, al contrario, si colloca a soli 175 metri s.l.m., in pianura, lungo il fiume Titerno, in un contesto agricolo privo di vegetazione montana. Dal punto di vista fonologico, le forme documentarie più antiche del toponimo – come Faycula e Faicchiola – non conservano il tema fag-, né mostrano il nesso ‑get‑ atteso da una base come fagetum; il dittongo ai da solo non basta a giustificare la derivazione. In mancanza di attestazioni intermedie, di coerenza morfologica e di riscontri ambientali, la teoria che collega Faicchio a fagus appare poco fondata: più che a un’origine storicamente e linguisticamente solida, essa sembra rispondere a una suggestione romantica, forse alimentata dalla somiglianza con altri toponimi legati al paesaggio montano.
1.5 Le prime attestazioni del nome
Nel tracciato linguistico che dal latino conduce al toponimo attuale, le prime forme documentate costituiscono le prove più solide per decifrare la genealogia di Faicchio. A differenza delle etimologie fondate sull’intuizione o sull’assonanza, questi reperti onomastici hanno un peso specifico: sono il deposito linguistico di pratiche amministrative, notarili, ecclesiastiche. E proprio in questi ambiti compaiono le prime forme riconoscibili del nome. Nel Cedolario angioino del 1320, elenco fiscale del Regno di Napoli, compare il toponimo Fayula, talvolta trascritto come Faycla. La forma è significativa perché introduce un elemento fonetico stabile – il dittongo ay/ai – e, al tempo stesso, esclude la consonante v che sarebbe invece attesa in un’evoluzione da faba (fava). Ulteriori conferme della radice Fay- provengono da fonti tardomedievali. In un rogito notarile del 1369, redatto in occasione del matrimonio tra Masiello Capuano e Rita di Sanframondo, tra i testimoni figura un certo Pietro de Mancino de Faycla: segno che già nel XIV secolo il nome del luogo circolava in forma palatalizzata e ufficialmente riconosciuta. Più tardi, nel 1467, un atto relativo all’unione della parrocchia di Santa Maria Assunta, conservato negli archivi ecclesiastici, registra i beni della chiesa usando ancora la forma Faycla. Anche in questo caso, l’uso è interno all’amministrazione religiosa, a indicare che la radice Fay- era entrata stabilmente nel lessico istituzionale e nella toponomastica locale. L’insieme di questi documenti – il cedolario, il rogito e l’atto parrocchiale – suggerisce che il toponimo si fosse ormai stabilizzato tra XIV e XV secolo in una forma foneticamente coerente con l’evoluzione proposta dal latino Fābīcula. Nel corso dell’età moderna, alcuni documenti e studi di eruditi napoletani e telesini testimoniano invece l’evoluzione storica del nome. Con il nome di Fabiola era, ad esempio, indicato il borgo nella documentazione del XVII e XVIII secolo: una descrizione del territorio redatta dal vescovo Gambacorta nel 1616, riporta l’espressione: «Fabiola, alias Faicchia», accostando in modo esplicito un nome latinizzato arcaico del luogo (Fabiola) alla forma popolare più moderna; così Francesco Sacco, nel suo Dizionario geografico-istorico-fisico del Regno di Napoli (1796), annotava che Faicchio era noto anche come Fabiola e Faichium. Queste testimonianze, sebbene frammentarie e talvolta contraddittorie nelle grafie, convergono nel collegare il nome non a un’origine botanica, ma a un nome gentilizio latino. In particolare, una fonte preziosa è rappresentata dal manoscritto Storia di Telese del medico e storico Libero Petrucci (1793–1865), il quale, sosteneva esplicitamente la derivazione del toponimo Faicchio da Fabicula, diminutivo prediale del nomen Fabia. Secondo questa lettura, il nome originerebbe da un fundus o praedium appartenuto a membri della gens Fabia, distribuito probabilmente durante la riorganizzazione agraria del territorio in epoca sillano- augustea. La tesi di Petrucci conferma che l’interpretazione prediale fabiana era già presente negli ambienti colti del XIX secolo, ben prima dell’affermazione di teorie folkloriche più recenti.
2. La cornice storica: guerre, colonie, centurie
2.1 Dal caos delle guerre alla pax romana
La valle del Titerno, e più in generale il Sannio, conobbero nel giro di due secoli una successione di traumi e di rinascite. Dopo la seconda guerra punica, quando Annibale passò come un incendio lasciando dietro di sé città occupate e distrutte, il console Fabio Massimo riconquistò Telesia nel 214 a.C. L’episodio, oltre a segnare l’inizio del legame simbolico tra i Fabii e la regione, fu la prima di una serie di irruzioni romane. Nel giro di pochi decenni il Sannio dovette affrontare la guerra sociale (91–88 a.C.), durante la quale gli Italici chiesero la cittadinanza romana; le popolazioni sannitiche si ribellarono e pagarono un prezzo altissimo: città assediate, territori devastati, aristocrazie decapitate. La dittatura di Silla portò alla confisca delle terre dei ribelli e alla loro distribuzione ai veterani: un processo di colonizzazione punitiva che ridefinì i rapporti di potere. Il cuore di questo riassetto fu la deduzione di colonie. I triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido, tra il 41 e il 36 a.C., cercarono di pacificare l’Italia interna e di ricompensare le proprie legioni: Telesia fu rifondata come colonia di diritto latino, dotata di mura e di un foro; il suo territorio fu suddiviso e “assegnato nominativamente con limiti augustei”. Allo stesso modo, Caiatia e Teanum Sidicinum furono interessate da assegnazioni viritiane legate alla legge graccana e dall’assegnazione ai veterani. Questa distribuzione di terre aveva una doppia funzione: premiava i soldati con un appezzamento agricolo e, nello stesso tempo, spezzava le basi economiche dei clan sanniti. Le mappe agrarie furono ridisegnate con riga e squadra, le aree comunali divennero proprietà private, i confini furono impressi con cippi e fossati. Il risultato fu un paesaggio nuovo, in cui l’antico tessuto sannita conviveva con i coloni romani: un laboratorio di integrazione e conflitto da cui emerse anche la toponimia prediale che stiamo analizzando.
2.2 Il reticolo del medio Volturno e i fondi fabiani
Se le confische sillane e le deduzioni triumvirali rappresentano il quadro politico, la centuriazione ne è la traduzione concreta nel territorio. Nel medio Volturno gli archeologi hanno individuato un reticolo di centurie quadrate di 20×20 actus (circa 706 m per lato) inclinate di 32° rispetto al nord. Il reticolo copriva oltre 15 000 ettari e includeva gli agri di Telesia, Allifae, Saticula, Caiatia e Teanum. Le centurie erano solcate da strade (cardines e decumani), fossati e canali; sui loro limiti si ergono ancora oggi filari di querce o di pioppi che ne ripercorrono l’antico orientamento. In alcune zone gli studiosi hanno riconosciuto una centuriazione più antica, di 10×10 actus, risalente forse all’epoca dei Gracchi, sovrapposta da quella augustea: segno che il territorio era stato misurato più volte e che le maglie agrarie erano state rimaneggiate. Ogni centuria poteva essere suddivisa in lotti, o heredia, assegnati a veterani e coloni. Alcuni proprietari erano soldati, altri membri dell’aristocrazia romana che investivano nell’agricoltura, altri ancora autoctoni integrati nel sistema romano. In questo mosaico si inserisce il fundus Fabii: un appezzamento probabilmente scelto per la fertilità dei terreni alluvionali e per la vicinanza alle strade. Il possesso, registrato con un nome prediale in latino (Fābīcula), divenne un riferimento geografico. Quando la villa fu costruita, con i suoi magazzini e la cisterna, il toponimo cominciò a indicare non solo la proprietà ma l’intero casale. Con il passare dei secoli, mentre la rete dei limites continuava a orientare strade e campi, la radice latina venne adattata alla pronuncia locale ma non fu cancellata. Così la griglia della centuriazione, apparentemente un artefatto tecnico, si trasformò in una matrice di memoria che ancora oggi affiora nei nomi e nei confini della valle. Un ulteriore elemento a favore della presenza dei Fabii nel tessuto agrario è dato dalle epigrafi telesine. Nell’abitato romano di Telesia, infatti, un decreto municipale ricorda che la città decise di erigere una statua a Tito Fabio Severo per aver finanziato ripetutamente i giochi gladiatori. Un’altra iscrizione narra che Fabio Massimo, rettore della provincia del Samnium, restaurò a proprie spese le thermae Sabianae. Queste testimonianze, databili tra la tarda repubblica e l’età imperiale, dimostrano che membri della gens possedevano prestigio e risorse nella regione. Se i Fabii investivano in edifici pubblici e spettacoli, è plausibile che fossero titolari anche di fondi agricoli nei dintorni: un podere sulle colline del Titerno, registrato con il diminutivo Fābīcula, avrebbe potuto dare origine al toponimo Faicchio.
3. Pietre, acqua e parole: archeologia e toponomastica
3.1 La villa e la cisterna di Faicchiola
La teoria prediale non rimane nel mondo delle ipotesi: trova corrispondenza in un sito archeologico situato pochi metri a monte del centro attuale. Gli archeologi D. Piscopo e G. Renda, nell’opera Carta archeologica e ricerche in Campania descrivono il Sito 19 in via D. A. Palmieri come una villa rustica con cisterna di epoca romana. Le strutture conservano blocchi modanati e frammenti di colonne, indici di una parte abitativa; ambienti voltati con una cisterna in cocciopesto collegata da un cunicolo attestano una funzione agricola. L’area circostante – delimitata dalle attuali via Domenico Antonio Palmieri, via Crocevia I e II e via De Martino – era indicata fino al XIX secolo come quartiere Faicchiola/Facchiola. La persistenza del nome nel catasto e nella toponomastica minore suggerisce che quel tratto del paese conservasse la memoria di un fundus Fabii: la villa e la cisterna sarebbero ciò che resta di un podere romano attivo nel I secolo a.C., quando la centuriazione riorganizzò il territorio. La combinazione di resti materiali e toponimo non è comune e rappresenta un indizio forte a favore della tesi fabiana. Prima di passare alla rassegna dei toponimi prediali, è opportuno ribadire che Faicchiola non designava l’intero paese. I documenti catastali e parrocchiali ottocenteschi usano Faicchiola per indicare esclusivamente il quartiere sorto attorno alla villa rustica e alla sua cisterna, mentre l’intero villaggio continuava a essere chiamato Faicchio. Questa distinzione conferma che il quartiere conservava la memoria di un antico fundus Fabii senza soppiantare il toponimo più ampio.
3.2 Toponomastica prediale: geografia e morfologia
La valle del Titerno e la più ampia Valle Telesina sono un laboratorio privilegiato per osservare come i nomi di luogo nascano dai nomi di persona. Melizzano è ricondotto dagli studiosi al fundus Melitianus (proprietà di un certo Melitius); Puglianello deriva dal fundus Pullianus; Amorosi rimanda a un possesso di un longobardo chiamato Amoroso. Altri comuni, come San Lorenzello, San Lupo e San Salvatore Telesino, prendono nome dai santi a cui erano dedicate le loro chiese. Questa costellazione onomastica dimostra che nella valle era consuetudine attribuire un insediamento al proprietario o al patrono. In questo scenario, Faicchio si inserisce armonicamente: anch’esso può risalire a una famiglia, la gens Fabia. L’analisi morfologica dei suffissi rafforza questa lettura. Nel latino prediale, i suffissi ‑anus/‑anum indicavano appartenenza, ‑ellus/‑ellum attenuavano o diminutivizzavano, mentre ‑culum/‑cula designavano un piccolo luogo o possesso. Nel passaggio ai volgari meridionali questi suffissi subirono trasformazioni sistematiche: ‑anus divenne ‑ano, ‑ellus si ridusse a ‑ello, e ‑culum/‑cula, sottoposto a palatalizzazione e sincope, produsse esiti in ‑icchio o ‑icchiolo. Cognomi e toponimi come Auricchio (da Auricula), Capaccio (forse da Capitaculum), Albiccione (da Albicula) illustrano questo percorso fonetico. Faicchio, con la radice Fai‑ e la desinenza ‑cchio, si conforma a questa regola. La nostra ipotesi di un’origine da Fābīcula colloca il toponimo all’interno di una grammatica regionale dei nomi: la stessa logica che trasformò Melitianus in Melizzano o Pullianellus in Puglianello avrebbe trasformato Fābīcula in Faicchio. La specificità del suffisso ‑cula spiega perché qui emergano suoni diversi rispetto ai casi in ‑anus o ‑ellus, e dimostra che il percorso fonetico è regolare e non eccezionale.
4. Scomporre il nome: l’evoluzione fonetica di Fābīcula
Nel latino classico, il suffisso ‑culum (al neutro) o ‑cula (al femminile) veniva utilizzato per indicare un oggetto piccolo o, in ambito toponomastico, una proprietà fondiaria derivata da un nome. Applicato a un nomen gentilizio, tale suffisso dava origine a un toponimo prediale, cioè il nome di un podere appartenente a una determinata famiglia. Così, ad esempio, Spartia generava Sparticula, Claudia diventava Claudiaculum. In questo quadro morfologico ben attestato, un fondo appartenuto alla gens Fabia avrebbe preso il nome di Fābīcula. Nel passaggio dal latino al volgare parlato in area campana, il nesso ‑bī‑, che occupa una posizione intervocalica, subisce una trasformazione fonetica regolare. La b, come in altri contesti simili nei dialetti meridionali, cade completamente, senza fricativizzazione: un fenomeno che si osserva in molte parole di origine latina, come faba > fàa, cibus > ciu. La caduta della b è seguita da un processo di iotizzazione: la ī accentata, ormai non più preceduta da consonante, evolve nella semivocale y, che compare nella grafia medievale come tale. In questo modo, la forma Fābīcula si riduce a Fāycula o Fāyula, forme già documentate nelle fonti medievali. Un ulteriore mutamento coinvolge il gruppo ‑cul‑, che, quando seguito da vocale anteriore come i, subisce la consueta palatalizzazione. Il suono /k/ diventa [tʃ], rappresentato graficamente come cch o cci, mentre la l si indebolisce o cade. Tale processo, del tutto regolare nel sistema fonetico dell’Italia meridionale, conduce a forme come Faicchiola o Faicciola, che conservano la traccia della palatalizzazione e della geminazione tipica dell’area. Contestualmente, la vocale latina breve ĭ, se accentata, tende nel volgare meridionale a dittongare in ai, mentre la desinenza atona finale ‑ula o ‑ola si semplifica per sincope o per aferesi. Il passaggio da Fayula o Faycula a Faicchiola, e infine a Faicchio, è dunque pienamente giustificato dalla fonetica evolutiva del territorio. La conservazione del dittongo ai, particolarmente stabile nei dialetti campani, spiega anche la permanenza della radice Fai‑, a differenza di altre regioni italiane dove il dittongo tende a chiudersi in e. Questa sequenza di trasformazioni fonetiche – dalla caduta della b, alla iotizzazione della i, alla palatalizzazione del nesso cul, fino alla dittongazione e alla sincope finale – e le forme intermedie attestate nei documenti medievali e moderne come Faycula, Fabiola e Faicchiola, confermano la regolarità di questo sviluppo. Alla luce di questi dati, Faicchio non è un’eccezione né un enigma, ma il risultato prevedibile e sistematico dell’evoluzione fonetica dell’area campana.
5. Conclusione. Dal nome al paesaggio e ritorno
Ricostruire la storia del toponimo Faicchio non è un esercizio di erudizione fine a se stesso. È un modo per capire come la romanizzazione abbia ridisegnato il paesaggio e la memoria del Sannio. Una volta confutate le etimologie botaniche (fagus) e agrarie (faba), e ridimensionata la leggenda Fabius hic a racconto antropologico, rimane una spiegazione che tiene insieme tutte le evidenze: Faicchio nasce come Fābīcula, piccolo fondo di una famiglia Fabia inserita nella centuriazione del medio Volturno. Questa lettura si fonda su attestazioni documentarie (Fayula, Faicchiola), sull’analisi fonetica, sui resti archeologici della villa e della cisterna, sulla presenza epigrafica dei Fabii a Telesia, sulla comparazione con altri toponimi prediali e persino sulla tradizione orale che assegna ai Fabii un ruolo fondativo. Anche gli studiosi ottocenteschi come Libero Petrucci e Francesco Sacco propendevano per questa derivazione. Il nome Faicchio diventa allora un palinsesto in cui si leggono, una sopra l’altra, la furia delle guerre puniche, la razionalità delle centurie augustee, la ricchezza delle élites romane, la tenacia della memoria contadina e l’inventiva delle leggende. Un toponimo non è mai neutro: contiene scelte, appropriazioni e dimenticanze. Nel caso di Faicchio, la storia nascosta nel nome restituisce la vita di una terra alla congiunzione tra il mondo sannita e quello romano. Far emergere questa genealogia, con l’attenzione ai particolari che merita una microstoria, significa restituire al presente una consapevolezza: dietro parole apparentemente opache si celano processi politici, economici e culturali di lunga durata. Nel volgere di pochi secoli, un podere fabiano divenne un villaggio medievale; con il passare del tempo, la radice latina si è trasformata in un dittongo dialettale, la villa è diventata un palazzo, la cisterna un punto di interesse archeologico. Ma il nome, come un filo sottilissimo, ha continuato a portare con sé il ricordo del suo primo proprietario. Se lo ascoltiamo con attenzione, ci racconta ancora oggi quella storia.
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Note:
[1] Questa versione, come detto, riprende un’errata lettura delle fonti. Ad oggi, tramite gli stessi canali è riportatala notizia, ripresa probabilmente da uno studio dell’Unpli del 2004, che il termine Favicella si trovi in un elenco redatto in occasione della terza crociata. In realtà, seguendo le fonti, il borgo di Faicchio a partire dal periodo medievale e fino alla metà dell’800 era diviso in diversi quartieri, ognuno figlio della diversa stratificazione storica: quartiere Terra, quartiere San Luca, quartiere Valle, quartiere Faicchiola, quartiere Case Pedone. Inseguito, la divisione territoriale del centro si è divisa in Via é copp’à e a Via é sott’, mantenendo la propria funzione campanilistica.