Juan de Zúñiga y Avellaneda (Penaranda de Duero, 1551 – 4 aprile 1608) è stato I° duca di Peñaranda de Duero, Grande di Spagna, conte e consorte di Miranda del Castañar e marchese consorte de la Bañeza. Di nobilissima discendenza in quantofiglio di Francisco de Zúñiga y Avellaneda, IV° conte di Miranda del Catanar, Grande di Spagna, e della sua consorte María de Bazán y Ulloa, IV° viscontessa dei Palacios de la Valduerna, figlia ereditiera di Pedro de Bazán, III visconte dei Palacios de la Valduerna, signore di Baztán, della Bañeza, e di altre città.
Dopo essere stato ambasciatore a Roma, fu viceré di Napoli dal 1586 al 1595, succedendo nella carica a Pedro Téllez-Giron y de la Cueva.
Il suo governo fu prevalentemente orientato al recupero dell’ordine pubblico nelle province: combatté il brigantaggio in Abruzzo, con l’appoggio dello Stato Pontificio, e in Capitanata; ammodernò la viabilità fra Napoli e la Puglia potenziando, nel Sannio, il tratto Maddaloni-Montesarchio. Si deve probabilmente a lui la disposizione di redigere il Codice Romano Carratelli, ovvero un manoscritto cartaceo risalente alla fine XVI secolo, composto di 99 acquerelli raffiguranti città fortificate, castelli, apprestamenti difensivi e territorio della Provincia di Calabria Ultra del Regno di Napoli oggi inserito nel Programma dell’Unesco: ‘Memorie del Mondo’.
Nel corso del XVI secolo, soprattutto nel periodo del suo Viceregno, Napoli visse un importante aumento demografico e un violento impulso alla attività edilizia. I limiti finanziari del regno e la disomogeneità degli investitori ostacolarono però una organizzazione equilibrata del territorio. Ciò nonostante, a differenza di altre città mediterranee gli spazi di Napoli non furono mai circoscritti su base cetuale, confessionale o etnica.
La coabitazione tra genti diverse divenne un elemento caratteristico della popolosa capitale. Per giustificare la cacciata degli ebrei, nel bando del 1541 don Pedro de Toledo sottolineava, non a caso, la pericolosa promiscuità nella quale vivevano gli infedeli: in città non esisteva un vero e proprio quartiere ebraico. In compenso Napoli era la città della penisola italiana che aveva il maggior numero di abitanti musulmani. Nella capitale la presenza islamica era costituita prevalentemente da schiavi, che giungevano all’ombra del Vesuvio in seguito alle operazioni militari e alle razzie corsare delle flotte cristiane. Trasportati sul molo napoletano, i bottini umani erano venduti nel mercato cittadino alle élites cittadine che li esibivano come status symbol.
I mercanti più facoltosi emularono presto i costumi dei nobili, così i settori sociali più abbienti favorirono ulteriormente l’approdo di islamici in città.
Ovviamente la Chiesa seguì molto da vicino questa presenza mostrando diffidenza verso la società locale, che a suo avviso aveva un atteggiamento più tollerante nei confronti dell’Islam. L’atteggiamento virava quando i protagonisti delle cerimonie erano convertiti. Nella maggior parte delle occasioni il battesimo di musulmano era un evento pubblico al quale erano inviati i fedeli, che avrebbero assistito a un trionfo della Chiesa sulla mala setta di Maometto. Il rito assumeva un forte valore propagandistico sia per le gerarchie ecclesiastiche sia per le autorità secolari.
Nel 1591, però, in seguito alla fuga di alcuni prigionieri musulmani, Juan de Zúñiga dispose l’arresto di diversi maomettani, che abitavano a Napoli. Molti di loro scapparono dalla capitale e si dispersero nelle provincie. Ciò contribuì ad aumentare il fenomeno dei fuoriusciti che cercavano di ritornare nei paesi di origine. I maomettani di Napoli non erano soltanto schiavi, una massa di essi, infatti, viveva libera nella capitale. Gli islamici ottenevano l’emancipazione dalla schiavitù tramite il versamento di una somma pecuniaria che pattuivano con il loro padrone, da quel momento gli antichi forzati erano definiti franchi.
Il Sannio Telesino fu interessato da questo passaggio di fuoriusciti religiosi. Gli ebrei si posizionarono a Frasso Telesino, Guardia Sanframondi e Cerreto Sannita creandosi posizioni mercantili nel commercio della lana e dei panni. Gli arabi, invece si nascosero negli anfratti del Matese percorso obbligato per raggiungere i porti adriatici e ritornare in Oriente.
Gli Spagnoli crearono delle milizie dedicate per catturarli o comunque perseguitarli. Tali milizie, formate per lo più da soldati di ventura, non tardarono a creare esse stesse problemi di ordine pubblico.
L’Università di Cerreto preoccupata per eventuali razzie inviò una supplica al vicerè, Juan de Zúñiga, conte di Miranda, anche nella sua veste di luogotenente e capitano generale dei corpi armati nel regno di Napoli. Si lamentava di dover dare alloggio e soddisfare le richieste dei soldati della regia udienza al comando di tale Maresciallo Giovanni Vello e degli altri commissari incaricati della persecuzione dei fuoriusciti.
La richiesta è accolta e ribadisce le disposizioni adottate già dal predecessore del de Zúñiga, il duca di Osuna Pedro Giron, e con lettera patente del 19 aprile 1584: né truppe, né ufficiali o commissari devono essere alloggiati nella terra di Cerreto, a meno che non vi transitino di notte e non ci sia il tempo per raggiungere un altro luogo e con l’obbligo di allontanarsi non appena fatto giorno senza avanzare nessuna richiesta o parlare con alcuno, alloggiando invece di norma nelle case isolate predisposte dal sindaco di quella terra e acquistando il vitto sulla piazza, con la sola eccezione degli ufficiali della regia tesoreria che portino denaro, che, per evidenti ragioni di sicurezza, possono essere alloggiati in paese. Tutto anche in futuro.
Il documento, spaccato di un’epoca di grande fasto della cittadina sannita e di grande interesse per gli studiosi di Storia locale e delle minoranze religiose, si trova a Benevento nell’Archivio di Stato, alla sezione pergamene dei Notai.
Bibliografia:
[1] Galasso, Giuseppe: Napoli capitale, Napoli, 1998, pp. 61-110.
[2] Bonazzoli, Viviana: «Gli ebrei del Regno di Napoli. II parte: il periodo spagnolo (1501-1541)», Archivio storico italiano, 139 (1981), pp. 179-288.
[3] Ceci, Giuseppe: «Commercio di schiavi a Napoli», Napoli Nobilissima, 15-5 (1906), p. 79.
[4] Nardi Gennaro: Opere per la conversione degli schiavi a Napoli, Napoli, 1967.
[5] Boccadamo, Giuliana: «Liberi, manomessi, schiavi. Musulmani a Napoli in età moderna», Nuove Effemeridi, 54-2 (2001), pp. 113-125.
[6] Galasso, Giuseppe: Alla periferia dell’impero: il Regno di Napoli nel periodo spagnolo, Torino, 1994, pp. 45-102.G. Varriale, Tra il Mediterraneo e il fonte battesimale: Mussulmani a Napoli nel XVI secolo, Università degli Studi di Genova, 2013
[7] Benevento, Archivio di Stato, Fondo Notai (1426-1806), ASBN, Notai, 160, in: monasterium.net, URL </mom/IT-ASBN/Notai/ASBN_Notai_160/charter>, accessed at 2020-10-23Z
[8] Aurelio Musi, L’impero dei viceré, Il Mulino, 2013