Il calendario cristiano celebra ogni anno il 13 giugno la festa di sant’Antonio da Padova, un santo particolarmente amato ed il cui culto è diffuso non solo in Italia ma in tutto il mondo. Forse non tutti sanno che sant’Antonio, oltre ad essere patrono di un numero indefinito di città nel mondo è, tra l’altro, protettore finanche del Brasile e del Portogallo.
In Italia il nome «Antonio» rientra tra i nomi maschili più diffusi, come dimostrano i dati ISTAT della sottostante tabella.1https://www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/contanomi

La devozione nei confronti di sant’Antonio assume notevole popolarità anche nel Sannio dove diversi comuni sanniti hanno come santo patrono Antonio da Padova:

Casalduni

Cerreto Sannita

Fragneto l’abate

Ginestra degli Schiavoni

Paupisi

Pontelandolfo

Reino

Nella classica iconografia cristiana, sant’Antonio da Padova è ampiamente rappresentato e vi sono molte tele, statue, disegni e raffigurazioni sparse nelle chiese di tutto il mondo che ritraggono il santo francescano e lo espongono alla venerazione dei fedeli.
Ma il santo gode di un privilegio ancora più importante e, sotto certi aspetti esclusivo: è tra i pochi che viene raffigurato con il bambino Gesù tra le braccia.
Difatti, la rappresentazione grafica di un Santo con il Bambinello è una condizione più unica che rara e tra tutte, forse l’immagine di sant’Antonio è certamente quella più famosa. 
Se escludiamo san Giuseppe che, essendo padre putativo, merita a buon diritto di apparire col figlioletto tra le braccia, la tradizione cristiana riconosce questa possibilità solo a pochissimi santi santi.

Abbiamo tentato una veloce ricerca. Per cui, vediamo quali sono.2 Alcune notizie sono tratte da http://www.biagiogamba.it/i-santi-con-gesu-bambino-in-braccio
Cominciamo da quello più famoso che è appunto sant’Antonio. Il suo vero nome è Fernando Martines de Bulhões, ma da tutti è conosciuto come Antonio di Lisbona (per la città dove nacque il 15 agosto 1195) o come Antonio da Padova (per il luogo in cui visse e morì il 13 giugno 1231 all’età di appena 36 anni). Originario del Portogallo, il giovane Antonio venne in Italia e si recò ad Assisi dove conobbe san Francesco e dove iniziò la sua carriera di predicatore che lo portò in giro in numerose città. Nel 1227 divenne Ministro provinciale (ossia guida delle comunità francescane) del Nord Italia prediligendo, alla fine delle sue peregrinazioni, la piccola comunità francescana di Padova dove coltivò legami e relazioni anche con gli esponenti di altri ordini. È il fondatore della Confraternita dei “Colombini” (così definita dal nome della chiesa di santa Colomba) dove iniziò attività di predicazione. Particolarmente importanti furono i suoi “sermoni”.
Secondo quanto riportato nel Libro dei Miracoli, un giorno del maggio 1231 (il santo morirà il 13 giugno successivo) il frate fu ospitato dal conte Tiso in una casa a Camposampiero, località nei pressi di Padova. La tradizione narra che qui si ebbe la famosa predica del Noce e qui – nella celletta dove solitamente si ritirava per pregare e riposare – si ebbe la visione di Antonio con in braccio il Bambino Gesù. Venerdì 13 giugno 1231, sentendo mancare le forze, Antonio chiese di essere portato a Padova dove desiderava morire.3In considerazione dei numerosi miracoli, Antonio fu canonizzato da Gregorio IX l’anno successivo alla morte. A lui venne dedicata la basilica di Padova. Nel 1946 Pio XII lo nominò “Dottore della Chiesa”. Cfr: L. CattabianiSanti d’Italia, Bur Rizzoli, Milano, 1993, pag.110 e segg.

Proprio per ricordare tale episodio sant’Antonio viene solitamente rappresentato con gli abiti francescani e con il bambino Gesù tra le braccia. Questa raffigurazione risale all’epoca medievale e rappresenta la principale icona antoniana. Ma, oltre al Bambinello, sant’Antonio ha anche altri simboli particolarmente significativi: il libro (che sta ad indicare il suo ruolo di “dottore della chiesa”), il pezzo di pane e, soprattutto il giglio bianco che sant’Antonio custodisce tra le mani.
Quest’ultimo simbolo rappresenta la purezza e castità e venne adottato in un tempo successivo.4Il giglio (lilium candidum) compare dal sec. XV in poi. Il fiore ricorda la stagione in cui è morto il santo, la primavera. Esso è un fiore di campo, medicinale, ornamentale e fragile che può rimandare alla purezza, alla castità e alla testimonianza di una vita offerta a Dio. Il giglio ha anche un altro attributo: simboleggia la natura, elemento particolarmente valorizzato dalla comunità francescana.   

Ma, oltre a sant’Antonio, quali altri santi vengono raffigurati col bambinello tra le braccia?
Escludendo san Giuseppe, forse il personaggio più famoso dopo sant’Antonio, è san Gaetano Thiene.
La motivazione di questa scelta iconografica deriva anche qui da una leggenda secondo la quale, mentre il santo vicentino era in procinto di celebrare la Messa di Natale del 1517 presso l’altare del presepe nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, venne improvvisamente rapito in una contemplazione estatica che ebbe il suo culmine nell’apparizione della Vergine Maria. La Madonna, secondo la tradizione, affidò il suo Bambino alle mani amorevoli di san Gaetano.5San Gaetano (1480-1545), nato a Vicenza da famiglia nobiliare fu fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini. Proclamato santo da Clemente X nel 1671, dimorò a Napoli dove si spense il 7 agosto del 1547.

Una leggenda analoga viene narrata a proposito di un altro santo taumaturgo: San Felice da Cantalice, anch’egli ritratto in molte opere e nei santini devozionali col Bambinello in braccio. Si tratta di un monaco cappuccino il cui vero nome è Felice Porro, nato nel 1515 nel piccolo centro di Cantalice, in provincia di Rieti.
Subito dopo aver indossato la veste monastica Felice, sostò in meditazione per oltre due anni nei conventi di Tivoli e di Viterbo; successivamente si trasferì nel convento romano di San Bonaventura dove svolse per diversi anni attività di questuante, assistendo nel contempo poveri ed ammalati nei vari ospedali romani. Divenne presto noto ai suoi confratelli per la caratteristica di dormire appena poche ore al giorno su tavole nude mentre spesso, durante le ore notturne, si raccoglieva in chiesa a pregare e a contemplare. Si dice che fu più volte visto entrare in estasi o addirittura far levitare il proprio corpo. Durante una di queste crisi gli apparve la Vergine che gli offrì amorevolmente il Bambinello. Per tale ragione l’iconografia popolare cominciò a ritrarre san Felice da Cantalice come un vecchio frate dai lineamenti grossolani, anziano e dall’imponente barba bianca, mentre accoglie tra le sue braccia il bambino Gesù.6L. CattabianiSanti d’Italia, Bur Rizzoli, Milano, 1993, vol. I, pag. 369.

Tra le donne – se si eccettua la Madonna la cui effige è naturalmente accompagnata con il frutto del suo ventre – è piuttosto scarna l’iconografia di sante e beate ritratte ad accogliere il Bambino Gesù. Forse l’immagine più suggestiva è quella di Santa Francesca Romana in un celebre dipinto di Orazio Gentileschi che ritrae la santa mentre la Vergine le offre il Bambino.7Forse il dipinto del Gentileschi raffigurante Santa Francesca Romana è l’unico con cui la santa è, ritratta col bambinello; nell’iconografia più diffusa essa è ritratta con un angelo.

Profondamente popolare a Roma, tanto da essere definita “la santa de Roma”, Francesca Bussa de’ Leoni, discendente da una famiglia ricchissima, nata nel 1384 nei pressi di piazza Navona, fu un nobile madre di famiglia che decise di consacrare la propria vita alla carità fondando la Congregazione delle Oblate della Santissima Vergine. Dedicò la sua vita a poveri ed alla cura degli ammalati; venne colpita dalla peste ma riuscì a sopravvivere. Da quel periodo divennero ricorrenti le sue estasi durante le quali, come narrò il suo confessore, le appariva la Madonna che consegnava fra le braccia di santa Francesca il Bambin Gesù. L’episodio avrebbe ispirato Orazio Gentileschi nel quadro custodito alla Galleria Nazionale di Urbino.
Tuttavia, il dipinto del Gentileschi raffigurante Santa Francesca Romana è con ogni probabilità l’unico con cui la santa viene ritratta col bambinello; nell’iconografia più diffusa essa è abitualmente rappresentata in posa estatica con accanto l’angelo custode.

Ma vi è anche sant’Agnese di Assisi (1197-1253), afflitta da visioni mistiche durante le quali vedeva la Vergine col bambino Gesù, viene raffigurata col Bambinello.
Sorella minore di santa Chiara e figlia del nobile Favarone, appena quindicenne lasciò anch’essa la casa paterna sedici giorni dopo la fuga della sorella Chiara. Nonostante i tentativi di dissuasione dei suoi familiari, decise di intraprendere la vita religiosa assumendo il nome di Agnese (mentre il vero nome di battesimo era Caterina). Durante le sue peregrinazioni si spostò dapprima in un convento di Firenze, poi a Mantova e infine a Venezia. Ritornata ad Assisi cominciò ad avere delle visioni celesti e passò a miglior vita il 27 agosto 1253, pochi giorni dopo la morte della sorella Chiara.
La raffigurazione iconografica con il Bambino è conseguente dunque alla narrazione religiosa. La santa viene perciò raffigurata con il bambino in braccio o, più frequentemente, nell’atto di ricevere il Bambino. Questa Santa non deve essere confusa con un’altra sant’Agnese, martire e vergine romana del III secolo.8La storia di Sant’Agnese romana, vergine e martire del III sec. è particolarmente drammatica. Di quest’ultima parla sant’Ambrogio (339-397) nel De Virginibus e nell’inno Agnes Beatae Virginis.  Pare che di essa, appena dodicenne, si era invaghito il figlio del prefetto di Roma ma, per il suo diniego venne sgozzata con un colpo di spada, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. (Per tale motivo sant’Agnese romana viene raffigurata con una pecorella o un agnello, simbolo della castità e del candore).  Cfr.: L. Cattabiani, cit., pag. 41. 

Più complessa è la storia di san Cristoforo, originario della Licia (regione corrispondente alla costa meridionale dell’attuale Turchia) uno dei santi più venerati nel Medioevo, che viene quasi sempre raffigurato con il Bambinello.
A differenza di altri, però, il Bambino non è tra le sue braccia ma appoggiato sulle spalle. La leggenda parla di Cristoforo come di un gigante pagano, forte e robusto e dall’aspetto burbero, che aiutava viandanti e pellegrini ad attraversare un fiume della sua regione. Un giorno si trovò a trasportare sulle spalle da una sponda all’altra, un bambino che stranamente diventava sempre più pesante man mano che il santo procedeva. Cristoforo fu costretto ad appoggiarsi ad un tronco e riuscì a malapena a raggiungere l’altra sponda; solo allora riconobbe nel piccolo passeggero il bambino Gesù che confessò a Cristoforo di aver traghettato, insieme al suo peso, quello del mondo intero.
L’episodio fu alla base della conversione di Cristoforo al cattolicesimo: una fede vissuta intensamente e che, come san Sebastiano, lo portò al martirio delle frecce. In greco Cristoforo significa letteralmente “colui che porta Gesù”. Motivo per cui san Cristoforo è tuttora venerato come il patrono di coloro che hanno a che fare con il trasporto, come barcaioli, pellegrini, pendolari, viandanti, viaggiatori e, nei tempi moderni, degli automobilisti.

Queste poche riflessioni non hanno la pretesa di essere esaustive della problematica.
A questo punto sarebbe interessante avviare una sorta di ricerca collettiva per scoprire altre icone di santi ritratti con il Bambinello tra le braccia.
Si attendono commenti e contributi da parte dei lettori.

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[1] Si veda: https://www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/contanomi
[2] Alcune notizie sono tratte da http://www.biagiogamba.it/i-santi-con-gesu-bambino-in-braccio
[3]In considerazione dei numerosi miracoli, Antonio fu canonizzato da Gregorio IX l’anno successivo alla morte. A lui venne dedicata la basilica di Padova. Nel 1946 Pio XII lo nominò “Dottore della Chiesa”. Cfr: L. Cattabiani, Santi d’Italia, Pur Rizzoli, Milano, 1993.
[4] Il giglio (lilium candidum) compare dal sec. XV in poi. Il fiore ricorda la stagione in cui è morto il santo, la primavera. Esso è un fiore di campo, medicinale, ornamentale e fragile che può rimandare alla purezza, alla castità e alla testimonianza di una vita offerta a Dio. Il giglio ha anche un altro attributo: simboleggia la natura, molto valorizzata dai francescani. 
[5] San Gaetano (1480-1545), nato a Vicenza da famiglia nobiliare fu fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini. Proclamato santo da Clemente X nel 1671. Morì a Napoli dove si spense il 7 agosto del 1547.
[6] L. Cattabiani, Santi d’Italia, Bur Rizzoli, Milano, 1993, vol. I, pag. 369.
[7] Forse il dipinto del Gentileschi raffigurante Santa Francesca Romana è l’unico con cui la santa è, ritratta col bambinello; nell’iconografia più diffusa essa è ritratta con un angelo.
[8] La storia di Sant’Agnese romana, vergine e martire del III sec. è particolarmente drammatica. Di quest’ultima parla sant’Ambrogio (339-397) nel De Virginibus e nell’inno Agnes Beatae Virginis.  Pare che di essa, appena dodicenne, si era invaghito il figlio del prefetto di Roma ma, per il suo diniego venne sgozzata con un colpo di spada, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. (Per tale motivo sant’Agnese romana viene raffigurata con una pecorella o un agnello, simbolo della castità e del candore).  Cfr.: L. Cattabiani, cit., pag. 41. 



Emilio Bove

Medico e scrittore. Ha all’attivo numerose pubblicazioni tra cui una Vita di San Leucio, dal titolo «Il lungo viaggio del beato Leucio», edita nel 2000. Ha pubblicato nel 1990 «San Salvatore Telesino: da Casale a Comune» in cui ripercorre l’evoluzione del suo paese dalla nascita fino alla istituzione del Comune. Ha scritto il romanzo-storico «L’Ultima notte di Bedò», vincitore del Premio Nazionale Olmo 2009 che narra la storia di un eccidio nazista perpetrato nell’ottobre 1943. Nel 2014 ha dato alle stampe la storia della Parrocchiale di Santa Maria Assunta con la cronotassi dei parroci. È autore di un saggio sulla storia della depressione dal titolo: «Il potere misterioso della bile nera, breve storia della depressione da Ippocrate a Charlie Brown». Ha partecipato all'antologia "Racconti Campani" e al volume "Dieci Medici Raccontano", vincitore del Premio Letterario Lucio Rufolo 2019. Nel 2021 ha dato alle stampe «Politica e affari nell'Italia del Risorgimento. Lo scontro in Valle telesina. Personaggi e vicende (1860-1882)». Collabora con numerose riviste di storia. Presidente dell’Istituto Storico Sannio Telesino è Direttore Editoriale della Casa editrice Fioridizucca.

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